The Wolf Post offers a professional service with free access, without subscription.
For this reason, a donation would also be a sign of appreciation for our work.
Se il sommelier è l’ambasciatore del vino, il nodo di contatto tra il prodotto e il committente finale (professionista o consumatore), l’enologo è la punta di diamante del settore vitivinicolo. L’enologo non recensisce il vino, non scrive di vino. L’enologo FA il vino (non per nulla, in inglese, la traduzione di tale professione è winemaker) ed è colui il quale, di fatto, ha in mano il potenziale successo di un’azienda. Giacomo Tachis ha scritto la storia Internazionale di questo mestiere ed è a lui che generazioni di enologi si sono ispirate e continuano a farlo. Così, è stato per Umberto Trombelli, enologo di fama internazionale, chiamato da Giacomo Tachis, nel 2009 quando Tachis lascia l’attività di Enologo per motivi di salute. Trombelli sostituisce il maestro per la “Cantina Santadi” in Sardegna e per la cantina “Agripunica”, con i vini Barrua e Montessu, diventando, ufficialmente wine maker di riferimento per le due cantine sarde. Dopo essersi diplomato presso la Scuola Enologica di Alba (Piemonte), nel 1984, Trombelli inizia alcune collaborazioni con piccole cantine toscane, entrando così in contatto con team di enologi guidati da Giacomo Tachis, che Trombelli definisce il padre del “Rinascimento del vino italiano”. A quel tempo, Giacomo Tachis stava per andare in pensione dalla sua collaborazione trentennale con la cantina Antinori e Umberto ebbe l’opportunità di essere presentato a Massimo Bernetti, proprietario della cantina Umani Ronchi nella regione Marche, dove Tachis stava iniziando una collaborazione di consulenza vitivinicola. Umberto inizia, così, la sua esperienza insieme a Tachis, sviluppando il famoso vino “Pelago”. Nel 2003, Umberto si trasferisce in Toscana presso la “Fattoria La Vialla”, ad Arezzo, Azienda leader nella coltivazione biologica e, in seguito biodinamica, specializzandosi poco dopo nella produzione dei vini Chianti, Vin Santo, Spumanti e Supertuscans. Allo stesso tempo, avendo raggiunto una notevole esperienza e conoscenza nella vinificazione con la supervisione di Tachis, Umberto inizia la sua attività di Enologo consulente. Talento e passione, Trombelli diventa curatore di alcuni Uomini d’affari italiani: aristocratici, come Brachetti Peretti e la sua cantina “Il Pollenza”; Diego Della Valle, Imprenditore- stilista proprietario della griffe ”Tod’s” che lo nomina alla sua tenuta “Tenuta l’Entrata” di Incisa Valdarno”, così come il Barone Ciani Bassetti che chiede a Umberto di lavorare per la sua cantina a Roncade, nella regione Veneto. Oggi, Umberto è Consulente in tutto il territorio italiano svolgendo un servizio di coordinamento enologico e di gestione aziendale nel settore vitivinicolo.
Come e quando è nata la passione per il vino?
La vera passione per il vino non è coincisa con la scelta di un corso di studi. Ho iniziato gli studi di Enologia presso la Scuola enologica di Alba con una certa curiosità ma la scelta proveniva da un indirizzo dei miei genitori: i precedenti in famiglia con mio bisnonno commerciante di vini nel bolognese erano ancora radicati. La lampadina si è accesa alcuni anni dopo, già nell’ambiente di lavoro. Lì, ho capito che sarebbe stato il mio futuro.
Quando ha deciso che l’enologo sarebbe diventata la sua professione?
Terminati gli studi, e il servizio militare, mi trasferii a Londra presso l’ICE che, all’epoca, aveva una bellissima enoteca in Piccadilly. Lavorai alla gestione di quella struttura, contribuendo alle attività di promozione dei vini italiani. Erano anni difficili: lo scandalo al metanolo ci mise in ginocchio. Era necessario ricominciare da zero, osservavo l’esposizione di quei vini, Regione per Regione, con una scelta immensa di vini da vitigni tradizionali che nemmeno a scuola mi rendevo conto di quanti fossero e che patrimonio culturale si portassero dietro. Dopo quasi un anno mi trovai di fronte ad un bivio: scegliere di restare a vivere in Gran Bretagna, occupandomi di attività di mercato, oppure tornare a casa e occuparmi di produzione. Il risultato di quella scelta lo vedete da voi.
Può spiegare con qualche dettaglio specifico, per i lettori meno esperti, cosa fa un enologo?
L’enologo è colui che consegue un titolo di studio nelle Scienze enologiche; si occupa di gestione viticola, di produzione del vino, di gestione aziendale. L’enologo è il tecnico che produce il vino, che crea il vino, colui che lo affina, decide come e quando vinificare le uve, secondo le necessità aziendali e di mercato. Anche il Viticoltore svolge questa attività e molti di essi hanno studiato enologia. L’enologo conosce i processi fisici, chimici e biologici che ne stanno alla base, li studia costantemente dovendo vivere in un mondo ancora per molti versi sconosciuto. Egli è il pilota che guida la nave, se vogliamo accettare questa associazione di idee. Soprattutto, cosa che molti non sanno, l’enologo assaggia! L’enologo basa molto del suo lavoro sulla degustazione: dall’assaggio delle uve per determinare l’epoca di vendemmia e per definire le vinificazioni a quelle dei mosti per finire ai vini durante il loro affinamento in cantina ed in bottiglia. Il sommelier si concentra di più sulla degustazione dei vini in commercio.
“Quando un’azienda mi sceglie, per prima cosa guardo i loro vigneti, le colline e immagino quello che berrò”. Quanto è importante per un enologo entrare in empatia con le persone che curano quella vigna e quelle colline?
È fondamentale. Il nostro è un lavoro di squadra, non è possibile raggiungere dei risultati senza l’apporto di tutti coloro che operano in una realtà vitivinicola. Chi lavora in vigna costantemente, anno dopo anno, conosce intimamente quelle piante, quei luoghi; detiene la memoria storica di quell’ambiente. I risultati nel nostro campo si ottengono dopo molti anni: il successo di un vino non è immediato. Chi si avvicina a questo ambiente credendo di fare un investimento a breve si ricrede ben presto.
Nell’immaginario collettivo degli appassionati di vino, dunque, non professionista, è il sommelier la figura più nota all’interno della catena “vino” mentre l’enologo lavora “dietro le quinte”. Quanto, secondo la sua esperienza, le due figure sono (se lo sono), in contrapposizione e quanto, al contrario, sono (se lo sono) complementari?
L’enologo studia molti anni e ancora molto durante la sua attività. Il sommelier parte come appassionato e solo chi esercita quella professione, dopo molti anni, diventa un esperto: ma solo come conoscitore di vini, come osservatore e promulgatore del consumo del vino. Il sommelier non può occuparsi di produzione perché non studia i principi che ne stanno alla base. Quindi, le competenze sono, sostanzialmente, diverse e i compiti, gli ambiti di manovra, sono perfettamente complementari: uno si occupa di produzione ed uno di promozione, vendita. Molti responsabili commerciali sono sommelier o hanno seguito corsi di sommelier e ritengo che per loro sia un passo dovuto perché ricevono, da quei corsi, nozioni generali sulle caratteristiche dei vini di tutto il Mondo e possono studiare la concorrenza con un approccio molto più professionale.
Quanto è cambiata, più o meno positivamente, la sua professione, rispetto ai suoi esordi?
Non è cambiata molto da quando ho iniziato, forse perché ho avuto la fortuna di restare al fianco di un consulente che mi ha insegnato quanto sia importante fare i vini stando in vigna. È cambiata prima. Un tempo l’enologo stava sulla porta di cantina ad aspettare le uve, ora non sarebbe più possibile. Sta cambiando, invece, la percezione che ne ha il neofita: nel credo popolare si pensa ancora che l’enologo sia l’artefice, anche mistico, di un vino, nel bene e nel male: pensi soltanto a chi crede nei vini e nei produttori che si definiscono “ Naturali”, definendo noi enologi il male assoluto. In realtà non è così; oggi il mondo del vino è anche frutto di comunicazione, di operazioni di mercato, di campagne pubblicitarie. Il vino deve essere comunicato per risultare vincente. L’enologo, dico sempre, deve “nascondere” la sua mano: deve valorizzare la tipicità dell’uva in quel luogo; deve essere protagonista del “Terroir”, ma è inverosimile che qualcuno pensi che il vino si possa fare bene ed in modo salutare senza di lui.
Pandemia e stato di salute del comparto vinicolo (Italiano e Internazionale), la sua esperienza attuale cosa può raccontare?
Posso dire che chi ha beneficiato della pandemia è il commercio dei vini in GDO. Abbiamo perso tutto il mercato del vino che si promuoveva con il turismo e l’enoturismo, la ristorazione è ai minimi così come quello delle vinoteche. Il commercio on line, di cui tutti parlano per il grande successo, copre appena il 3% del mercato del vino. Di questo passo i vini di qualità, che hanno subito un grave danno, ne usciranno fortemente danneggiati. Tutti dicono che appena finita questa pandemia si ritornerà a veleggiare alla grande. Ce lo auguriamo tutti.
L’enologo è anche una figura controversa, acclamata dai più, ma anche oggetto di forti critiche da altri. Siete accusati di “creare” vini che devono soddisfare i canoni delle guide, insomma piacere a tutti. Fantasie, oppure c’è, in alcuni casi, una base di verità?
L’attività di enologo si esprime su molte varianti produttive: pensi solo a quanti vini diversi si producono nel Mondo e, soprattutto, in Italia. Non esistono solo vini che esprimono un terroir ma vi sono anche vini “Bevanda” e il nostro lavoro li abbraccia entrambi. Si, è vero. Ci sono settori del nostro lavoro che richiedono vini dal gusto convenzionale e omologato e dobbiamo essere in grado di offrirli sul mercato. Vi sono anche colleghi che ancora pensano che la loro arte sia uno stile che fa tendenza, per cui adottano tecniche produttive che possono portare vini di qualità da diversi luoghi a somigliarsi perché incontrano così la benevolenza di certe recensioni. Questo non vuol dire che si debba omologare tutto e tutti. In fin dei conti, noi lavoriamo nel settore ma, il più delle volte, operiamo per i Produttori. Siamo anche noi al servizio delle richieste di mercato. Personalmente, credo che la mia attività debba garantire ad ogni mio potenziale cliente il minor impatto possibile della mio gusto offrendo ad ognuno di loro un prodotto unico.
Un suo pregio e un suo difetto, professionalmente parlando.
Un pregio: essere uomo di squadra e continuamente alla ricerca del risultato migliore. Un difetto, se di difetto devo parlare, quello di essere sempre troppo immediato e sincero.
Chiederle qual è il vino al quale è maggiormente legato presuppone una risposta quasi scontata, immagino tutti. Le chiedo, invece qual è il vino che avrebbe voluto “creare”.
Rispondendo in modo scontato il vino che ancora devo fare. Il vino che avrei voluto contribuire a creare, quello di alcune Regioni dove la mia attività non mi ha mai portato direttamente: un vino piemontese ed uno siciliano.
The Wolf Post è gratuito, sempre senza contenuti a pagamento.
É sostenuto da un’Associazione Culturale.
Eppure, un tuo contributo sarebbe, tra l’altro, anche segno di gradimento per il nostro lavoro.