Ci sono professioni che hanno come prerequisito per essere svolte non (solo) il talento e una certa attitudine ma l’amore per la terra e la natura. Non puoi essere un buon enologo se non entri a stretto contatto con la natura.
Carlo Roveda ha sentito questo richiamo forte per la terra dall’infanzia, come egli stesso afferma: “Sin da bambino ho cercato e, nel tempo mantenuto vivo, un indispensabile rapporto con la natura e con la terra. Questo indissolubile binomio ha influenzato e caratterizzato i miei primi passi, insegnandomi ad amare profondamente la cultura contadina e il sacrificio degli uomini, arrivando a condizionare ogni mia scelta futura e segnando, così il corso degli studi, la maturità e le preziose conquiste fatte oggi tra vigna e cantina. Un cielo azzurro o brumoso, i raggi di sole al tramonto, il calore dei grappoli nei filari fra il rosso fluire del mosto che rumorosamente impara nel tempo in un alcolico e sapiente divenire. Semplicemente il mio lavoro, una passione figlia delle mie origini, un sogno di bambino divenuto realtà quotidiana.”
Diplomato nel 1984 Enotecnico alla Scuola di Enologia “G. Cerletti” di Conegliano, nel 1992 Roveda consegue il titolo di Enologo. Inizia la carriera lavorativa nel 1989 in Friuli e proseguendo nel Lazio fino al 2005. Dal 2006, diventa libero professionista e, successivamente, crea la società di Consulenze Enologiche.
Come e quando è nata la passione per il vino?
Sono nato con la passione per il vino, la ritengo una vocazione. Mi innamorai del vino seguendo mio padre quando “faceva il vino per casa”.
Quando ha deciso che l’enologo sarebbe diventata la sua professione?
Decisi di fare l’enologo di professione all’età di 24/25 anni dopo gli studi liceali. Quale migliore modo per celebrare la mia passione per la terra e la vigna.
Quanto è importante per un enologo entrare in empatia con le persone che curano quella vigna e quelle colline?
È importante capire e interpretare la volontà e i sogni di chi ti incarica di trasformarli in qualcosa di reale, di apprezzabile. La sintonia con chi opera all’interno di un’azienda in tutti i settori e a tutti i livelli è fondamentale, creare un ambiente positivo è garanzia di successo.
Nell’immaginario collettivo degli appassionati di vino, dunque, non professionista, è il sommelier la figura più nota all’interno della catena “vino” mentre l’enologo lavora “dietro le quinte”. Quanto, secondo la sua esperienza, le due figure sono (se lo sono), in contrapposizione e quanto, al contrario, sono (se lo sono) complementari?
L’enologo è fondamentalmente un tecnologo. Adatta le tecniche disponibili, organizza protocolli di lavorazione specifici per ogni singola realtà.
Il sommelier è un valutatore del prodotto finale. Non sono in contrapposizione, l’apporto del sommelier nel conseguimento di risultati importanti è utile per evidenziare le particolarità di una zona, per evidenziare uno stile. Personalmente mi confronto spesso con sommelier di professione, lo ritengo essenziale per conseguire i migliori livelli di qualità.
Quanto è cambiata, più o meno positivamente, la sua professione, rispetto ai suoi esordi?
Le aspettative del consumatore sono sempre più alte, il consumo di massa non c’è più. Ne consegue che la “specializzazione” di chi opera nel settore deve crescere per ottenere risultati sempre migliori e particolari .
Pandemia e stato di salute del comparto vinicolo (Italiano e Internazionale), la sua esperienza attuale cosa può raccontare?
Le difficoltà non mancano, lo sappiamo. Finirà anche questo periodo, intanto guardiamo avanti. Ogni azienda reagisce in modo diverso per circoscrivere i problemi utilizzando canali di commercializzazione poco sfruttati per alcuni, come la Gdo e l’e-commerce.
L’enologo è anche una figura controversa, acclamata dai più, ma anche oggetto di forti critiche da altri. Siete accusati di “creare” vini che devono soddisfare i canoni delle guide, insomma piacere a tutti. Fantasie, oppure c’è , in alcuni casi, una base di verità?
La tentazione della vanità è sempre presente, ovvero il voler mettere appunto vini “autoreferenziali”.
Ritengo che sia essenziale saper valorizzare quello che un’azienda e una zona geografica offre. Se il prodotto è riconoscibile perché rappresenta un territorio allora l’apprezzamento ci sarà. Farlo piacere a tutti non è una buona ambizione. Se è autentico porterà, inevitabilmente, ad una “divisione” fra chi lo apprezza e chi rimane a distanza.
Un suo pregio e un suo difetto, professionalmente parlando.
Un mio pregio è la concretezza nei rapporti personali e nel lavoro. Un difetto, che non sarà l’unico, è la mia poca attenzione alle mode del momento.
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