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Credits: © Paolo Peira Enologo
Paolo Peira è uno degli enologi più quotati del panorama Italiano con CV di livello. Biologo, diplomato alla Facoltà di Enologia di Bordeaux, Peira è docente nei corsi per Sommelier FISAR, ONAV, docente Slow Food per il “Master of wine”, docente del “Corso sui vini italiani”, presso la Facoltà di enologia di Bordeaux e per il master di Enologia Università Cattolica di Milano. Peira insegna anche presso la Facoltà Di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (CN), corso di Enologia. Candidato come miglior giovane enologo al premio Luigi Veronelli nel 2007. La passione per il vino la riversa nell’insegnamento, oltre a prestare la sua consulenza ad una ventina di aziende di tutta Italia e all’estero. I produttori seguono i suoi consigli tecnici in tutte le fasi della produzione dall’impianto del vigneto fino all’imbottigliamento.
Fondatore della Antesi s.r.l. con sede a Roma.
Quando è nata la passione per il vino?
Mio nonno produceva vino in Piemonte, mio padre è Enologo. Il vino sulle nostre tavole non è mai mancato, mi è sembrato dunque naturale sviluppare una passione per questo prodotto e per i tanti modi in cui può essere realizzato. Se ci pensiamo, è affascinante avere le competenze per poter trasformare un grappolo d’uva, per lo più inodore, in una bevanda ricca di profumi, di sapori e di grande fascino come il vino.
Quando ha deciso che l’enologo sarebbe diventata la sua professione?
Sono cresciuto in un’epoca in cui le facoltà di Enologia in Italia ancora non esistevano per cui la mia scelta l’ho dovuta compiere relativamente presto. Dopo le scuole medie, ho studiato alla scuola enologica di Alba e, sebbene più tardi io abbia frequentato altre scuole, altre università, questa prima esperienza scolastica è stata estremamente formativa e ho avuto la conferma già dopo i primi mesi che la professione dell’Enologo sarebbe stata la strada giusta.
Quanto è importante per un enologo entrare in empatia con le persone che curano quella vigna e quelle colline?
Sappiamo bene, e non è mai superfluo ripeterlo, che il primo presupposto per fare vini di qualità consiste nel disporre di uve sane e mature. Anche il più bravo degli enologi non può prescindere dal lavorare con una materia prima perfetta. Questo presuppone un collegamento diretto con chi frequenta il vigneto. Non è semplicemente un professionista che passa il testimone ad un altro professionista, occorre avere una visione comune, condivisa, nelle gestioni e negli obiettivi. Io, quando posso, cerco di essere presente quando gli agronomi vengono a visitare i vigneti di una mia azienda perché so che posso imparare qualcosa. Allo stesso modo, invito sempre le persone che lavorano con me alle degustazioni dei vini nuovi, per condividere i risultati della vendemmia appena conclusa e trarre tutte le informazioni per il futuro.
Nell’immaginario collettivo degli appassionati di vino, dunque, non professionista, è il sommelier la figura più nota all’interno della catena “vino” mentre l’enologo lavora “dietro le quinte”. Quanto, secondo la sua esperienza, le due figure sono (se lo sono), in contrapposizione e quanto, al contrario, sono (se lo sono) complementari?
Credo che questa affermazione sia ormai superata, anche tra gli appassionati di vino. Negli ultimi anni l’Enologo è uscito dai laboratori delle cantine ed è sempre più presente nel mercato, tra i giornalisti, nelle presentazioni delle nuove annate, nei ristoranti a parlare con i consumatori. È una strada senza ritorno e l’Enologo del futuro sarà sempre più comunicatore dei propri vini, oltre che un competente produttore. Quando mi trovo in questi contesti e racconto il mestiere dell’Enologo, vedo negli occhi delle persone sempre una certa invidia e fascinazione per il nostro lavoro. Non credo, però, che le due figure siano in contrapposizione, ho sempre pensato che il Sommelier fosse il professionista del servizio mentre l’Enologo fosse il professionista della produzione.
Pandemia e stato di salute del comparto vinicolo (Italiano e Internazionale), la sua esperienza attuale cosa può raccontare?
Il vino italiano ha una storia, un fascino e, certamente, avrà un futuro anche dopo questo particolare momento. Le aziende con una grande penetrazione nel mercato hanno saputo far fronte a questi mesi utilizzando tutti gli strumenti che ormai sono a disposizione. I nostri mercati sono il mondo intero, la pandemia non è arrivata contemporaneamente su tutti i mercati per cui i diversi paesi, anche se in maniera alternata, hanno continuato ad acquistare i nostri prodotti.
L’enologo è anche una figura controversa, acclamata dai più, ma anche oggetto di forti critiche da altri. Siete accusati di “creare” vini che devono soddisfare i canoni delle guide, insomma piacere a tutti. Fantasie, oppure c’è, in alcuni casi, una base di verità?
Sarebbe ingiusto e poco corretto generalizzare un’intera categoria. Ognuno di noi ha una sensibilità propria e lavora sulla base delle proprie esigenze, necessità, virtù. Ovviamente, sebbene si producano i vini con l’obiettivo di venderli, questo non vuol dire soddisfare i canoni delle guide bensì soddisfare i canoni del consumatore, oltre che i propri.
Un suo pregio e un suo difetto, professionalmente parlando.
Mi piacerebbe avere le virtù dei grandi vini: intenso, complesso, equilibrato, e non troppo astringente. A parte le battute, credo di essere un Enologo ragionevole, sostanzialmente equilibrato e disposto al dialogo, ma anche concreto e senza fronzoli. il difetto è forse quello di non saper delegare, con il risultato di dover lavorare il doppio.