Credits: Mario Ronco Enologo
“L’uva è il bene più prezioso” è questo l’incipt che apre la pagina web di Mario Ronco. Apparentemente una frase scontata ma chi lo conosce sa che per lui questo è un assioma dal quale non si può prescindere.
Astigiano, classe 1968, è sicuramente uno delle figure di spicco dell’enologia italiana. Una vita radicata e dedicata al mondo enoico. Sin da bambino respira il profumo del nettare degli Dei, figlio di un negoziante di vini dell’astigiano Monferrarese, studia presso la Scuola Enologica di Alba dove nel 1987 si diploma. Dopo gli studi, sino al 1995, presta la sua opera professionale presso studio Enosis. Dal 1995, lavora come libero professionista, offrendo le proprie competenze e le sue consulenze presso importanti realtà produttive della penisola.
Come e quando è nata la passione per il vino?
Il mio rapporto con il vino ha radici profonde, i miei avi hanno sempre avuto vigne e cantina. Di più, mio padre è anche diventato Enologo nel 1954 e io sono cresciuto tra il profumo del vino in fermentazione e il rumore delle botti lavate con la catena sotto alla finestra della mia camera. A casa si beveva e “respirava” vino.
Quando ha deciso che l’enologo sarebbe diventata la sua professione?
È stato naturale, sono cresciuto nell’ottica di proseguire il lavoro nell’azienda di famiglia. Poi, ho iniziato a lavorare presso un noto consulente piemontese: conoscere vitigni e zone diverse in Italia mi ha affascinato molto e allora ho capito che quello sarebbe stato il mio lavoro. Nel frattempo mio padre ha chiuso l’attività e, dopo 8 anni di “apprendistato”, ho cominciato a lavorare in proprio.
Quanto è importante per un enologo entrare in empatia con le persone che curano quella vigna e quelle colline?
Penso che l’Enologo sia una figura molto “intima” nell’ambito aziendale. Egli deve partecipare alle aspettative della proprietà, farle proprie, e trasmetterle, con passione, a coloro che devono operare in vigna ed in cantina. Ovviamente alla base di tutto c’è il rispetto per l’uva, che è il bene più prezioso, solo in questo modo si permette al “terroir” di esprimersi e questo è l’obiettivo per avere vini dalla personalità unica. Penso, inoltre, che avere buoni rapporti con tutti gli attori della filiera vitivinicola di una azienda sia fondamentale per avere risultati importanti.
Nell’immaginario collettivo degli appassionati di vino, dunque, non professionista, è il sommelier la figura più nota all’interno della catena “vino” mentre l’enologo lavora “dietro le quinte”. Quanto, secondo la sua esperienza, le due figure sono (se lo sono), in contrapposizione e quanto, al contrario, sono (se lo sono) complementari?
Le due figure sono sicuramente complementari. I Sommelier hanno una grande conoscenza dei vini italiani e mondiali, sono bravissimi nella descrizione organolettica dei vini, insostituibili nell’abbinamento con il cibo. L’enologo deve conoscere bene il binomio vitigno/territorio, distinguere le sfumature di ogni vigna, interagire con le variazioni climatiche dell’annata, indirizzare la vinificazione e l’affinamento nella direzione del massimo risalto delle peculiarità dell’uva. Un enologo parte dall’uva e conosce ogni variazione nella nascita e crescita di un vino, il sommelier è esperto dalla bottiglia in poi.
Pandemia e stato di salute del comparto vinicolo (Italiano e Internazionale), la sua esperienza attuale cosa può raccontare?
Attraversare un momento così inaspettato e complicato ha, sicuramente, messo in risalto i punti di forza e di debolezza di ogni azienda. Credo che i più attenti faranno tesoro di questa esperienza. L’entità e la tipologia della ripresa daranno ulteriori risposte e, spero, nuova linfa la comparto intero.
L’enologo è anche una figura controversa, acclamata dai più, ma anche oggetto di forti critiche da altri. Siete accusati di “creare” vini che devono soddisfare i canoni delle guide, insomma piacere a tutti. Fantasie, oppure c’è , in alcuni casi, una base di verità?
Credo che generalizzare sia sempre un errore! Io lavoro per “assistere” , nel modo meno invasivo possibile, la trasformazione da uva a vino. Nell’acino sono serbati i profumi ed i gusti del vino futuro, lasciarli esprimere è un lavoro che comincia in vigneto e poi continua in cantina, favorirne il passaggio è il mio compito, mi piace farlo con sensibilità e delicatezza accompagnandolo, mano nella mano, come con un bambino che cresce.
Un suo pregio e un suo difetto, professionalmente parlando.
Quando mi hanno detto che “non ho una mano”, l’ho trovato uno dei complimenti più graditi. Significa che non sovrasto quello che la natura crea. Difetti ne ho, quello più evidente è la mia attitudine a difendere il vino a tutti i costi, talvolta con troppa aggressività e veemenza. L’uva e il vino non hanno bocca, non possono lamentarsi, io cerco di dar loro voce. A volte, però, finisco per alzarla!
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