Enologo per caso. Maurilio Chioccia “respira” l’aria di vino fin da bambino ma sarà solo da adulto, per una serie di coincidenze fortuite, che il vino diventerà ben più di una passione: un lavoro. Un lavoro ricco di esperienze, avventure, viaggi che Chioccia deve al suo maestro, Riccardo Cotarella. Una figura di riferimento per molti ma che per Chioccia assume, indubbiamente, un peso importante. Grazie al talento, allo studio, al lavoro e al suo maestro, Chioccia è oggi uno degli enologi Italiani più quotati.
Come e quando è nata la passione per il vino?
La mia passione per il vino, in realtà, nasce per caso. Pur essendo figlio di contadini i quali consideravano il vino un alimento, da bere per dare energia nei campi, fino a 18/20 anni ero completamente astemio. Mio nonno era molto risentito nei miei confronti perché avere un nipote astemio era quasi un disonore.
A quei tempi, in campagna chi beveva vino in quantità era un punto di riferimento e se ne raccontavano le gesta.
Dopo un percorso di studi di chimica, nel 1980/’81, per puro caso, ebbi modo di conoscere Riccardo Cotarella. Egli, al tempo, lavorava alla cantina Vaselli di Castiglione in Teverina (Lazio), e aveva necessita di allestire un laboratorio per le analisi dei vini.
Da lì, nacque il contatto per il vino, frequentai per un anno il laboratorio di Igiene e Profilassi di Viterbo dove, appunto, imparai a fare tutte le analisi sui mosti e sui vini. Iniziai a dividermi tra il laboratorio della Vaselli e della Riccardo e Renzo Cotarella società per consulenze enologiche e agronomiche.
Quando ha deciso che l’enologo sarebbe diventata la sua professione?
Riccardo Cotarella non sopportava che non assaggiassi i vini in analisi e mi chiedeva, con insistenza, un parere che io, francamente, non sapevo minimamente dare. Al che forzò la mano affinché io iniziassi ad assaggiare e provare ad esprimere qualche parere, anche se elementare. Non fu affatto facile.
Però, giorno dopo giorno, supportato dalla sua professionalità, iniziai ad avvicinarmi al vino sempre di più e con maggiore piacere. Iniziarono, poi le prime degustazioni, i primi viaggi in zone enologicamente note, quindi Toscana, Piemonte per arrivare, poi, in Francia. Quindi assaggi di vini Sudafricani, Californiani, Cileni, Austriaci. Via via il gioco mi piaceva sempre di più e crescevano le mie competenze.
Poi, è accaduto che, per titoli compatibili ed esami, fu possibile ottenere il titolo di enologo e, quindi, arrivai al titolo, grazie e questa opportunità.
Coniugavo, a questo punto, passione e lavoro. Grazie ai fratelli Cotarella, ebbi anche la fortuna di poter frequentare poche volte Tachis. Ogni sua parola era alta scuola.
Sempre trascinato da Cotarella ho continuato il mio percorso, prima come dipendente di una grande cooperativa umbra poi come libero professionista.
Ad oggi, lavoro in molte regioni, Umbria soprattutto, Toscana, Lazio, Marche, Romagna, Campania. Per Cotarella ho seguito e, ancora seguo, importanti realtà in varie regioni italiane. Quest’anno, ho festeggiato i miei primi quarant’anni di attività.
Quanto è importante per un enologo entrare in empatia con le persone che curano quella vigna e quelle colline?
In merito all’empatia sia con il produttore che con il territorio, per me è estremamente necessario che si verifichi questo rapporto di armonia.
Prima di tutto viene il territorio, che va rispettato, e i vini che se ne traggono devono il più possibile essere il miglior risultato, (naturalmente di scelte corrette fatte sia agronomicamente e anche enologicamente) che quel territorio può dare, con pregi e, perché no, anche qualche difetto. Attualmente, siamo ancora in una fase ampia di vini perfetti ma anche un po’ standardizzati, emulativi.
Abbiamo tanti tipi di suolo, di clima, di altitudini di adattamento dei vari vitigni e poi la buona conduzione dell’uomo. Parlo naturalmente di persone che amano il Vino e che combattono per arrivare al consumatore con un prodotto che sia l’esatta traduzione di quanto detto prima.
Non deve mancare, inoltre, anche là riconducibilità del vino al produttore. L’uno deve essere lo specchio dell’altro, altrimenti per i vini di territorio se manca questa armonia con chi li produce, diventano due elementi distanti.
Io curo molto questo aspetto, mi appassiona e mi porta in uno stretto contatto tra territorio e vignaiolo. Non è facile, soprattutto capire il produttore, il quale, spesso emula senza pensare di integrarsi con il progetto. Spesso, molti pensano ai vini mito e si fanno fagocitare da percorsi che poi non portano a nulla.
Io ho avuto la fortuna di imbattermi, frequentemente, già con produttori sensibili e poche volte ho dovuto far capire l’importanza tra territorio e vignaiolo, cosa di estrema naturalezza e apparentemente semplice.
Nell’immaginario collettivo degli appassionati di vino, dunque, non professionista, è il sommelier la figura più nota all’interno della catena “vino” mentre l’enologo lavora “dietro le quinte”. Quanto, secondo la sua esperienza, le due figure sono (se lo sono), in contrapposizione e quanto, al contrario, sono (se lo sono) complementari?
Il rapporto con i sommelier professionisti lo ritengo molto importante, perché hanno le necessarie competenze e sanno parlare con il linguaggio del vino. Oggi, tutte le associazioni hanno grande professionalità, ascoltano il produttore e sanno coniugare molto bene il rapporto tra produttore e consumatore. Senza la loro preziosa comunicazione sarebbe una strada ancora più in salita per i produttori.
Naturalmente, non mancano le pecore nere, poche ma ci sono, come del resto in tutti i settori. Io, spesso, coinvolgo i sommelier in assaggi vari prima di andare in bottiglia. Un buon risultato qualitativo porta, facilmente, anche a un buon risultato commerciale.
Io lavoro nella direzione del consumatore. Non ho mai esercitato il capriccio o la vanità di fare vini che piacessero prima di tutto a me e men che meno che venissero ricondotti a me per determinate caratteristiche. Spesso, alcuni vogliono riconoscere i vini fatto da quel enologo. Per me non è mai stato un obbiettivo.
Ho sempre lasciato parlare il vitigno, il clima, il carattere delle stagioni e l’amore del vignaiolo.
L’enologo è anche una figura controversa, acclamata dai più, ma anche oggetto di forti critiche da altri. Siete accusati di “creare” vini che devono soddisfare i canoni delle guide, insomma piacere a tutti. Fantasie, oppure c’è, in alcuni casi, una base di verità?
Il rapporto con le guide se è sano va bene ed è utile. Anche qua c’è di tutto e molti sono attratti dal premio, dalla recensione, dallo spettacolo. Penso che per alcuni anni siano state più utili. Per altri, hanno portato alcuni produttori fuori dal progetto possibile per seguire degli standard, spesso imposti da giornalisti che neanche sono mai andati in vigna e cantina, ma si sono adagiati su racconti esaltanti di produttori ed enologi. Un periodo che spero sia terminato. Oggi, vedo più preparazione e consapevolezza anche in questa parte del vino.
Anche i critici dei vini e delle guide, a mio parere sono più informati e cercano sempre di entrare nella materia. Per questo, è sempre più frequente vedere piccoli, sconosciuti produttori ricevere meritati giudizi.
Avverto più serenità in questo settore. Ci sono anche molti produttori che, più o meno a ragione, non seguono minimamente le guide e cercano di fare un lavoro più personale. Credo sia anche questa una strada da seguire.
Non abbiamo una situazione orizzontale ma verticale e gli effetti si vedono . Poi, come detto prima, chi decide la partita indipendentemente dalle guide e dai premi è e sarà sempre di più il giudizio del consumatore.
Tanti consumatori non si interessano dei giudizi delle guide e si fanno una loro idea indipendente e diventano bravi comunicatori. C’è posto per tutti, l’importante è essere professionali, imparziali e seri.
Un suo pregio e un suo difetto, professionalmente parlando.
Il mio pregio e il mio difetto professionalmente parlando coincidono con la stessa cosa, ossia l’amore per il vino, il rispetto per il Vino il rispetto per il consumatore. Mi sono sempre sentito lontanuccio dagli enologi mito e ho passato quarant’anni di attività sempre a correre, con la consapevolezza che si può e si deve fare sempre meglio.
Ogni vendemmia è un avvenimento importante che si attende per dodici mesi e non si vede l’ora di scaricare le nuove conoscenze sia in termini di agronomia, di enologia e di consapevolezza di cosa desidera il consumatore, che io cerco di ascoltare e frequentare il più possibile.
Il miglior vino poi è quello che si vende e fa tornare i conti ai vignaioli i quali, spesso, non intascano egoisticamente gli utili ma sono sempre pronti a reinvestirli per dare più gioia al consumatore. Quando ti fanno i complimenti per un vino è in quel momento che ti senti ripagato da tutto.
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