Gianni Menotti è un predestinato al mondo del vino e dell’enologia. Nativo di Sagrado, un piccolo comune in provincia di Gorizia, sin dalla tenera età respira i profumi e la realtà enoica di una grande azienda italiana, “Villa Russiz”, gestita dal padre Edino per 35 anni. Dopo la laurea in enologia, presso l’Università di Padova, con una tesi sul Picolit, nel 1988 subentra, nella conduzione enologica, al padre in azienda. Dopo pochi anni, però, decide di intraprendere un percorso professionale che lo porterà a valorizzare importanti azienda della regione per poi spaziare sia in Italia che all’estero.
Importanti riconoscimenti professionali si susseguono negli anni: nominato enologo dell’anno per due volta e Ambasciatore dell’Associazione Nazionale Città del Vino, ma anche attestati su guide non fanno altro che ribadire l’autorevolezza del lavoro svolto. Menotti però, non si mai adagiato su quanto fatto, la sua filosofia operativa è molto metodica e non lascia niente al caso: il territorio al centro del suo progetto professionale.
Come e quando è nata la passione per il vino?
Penso da sempre. Ho vissuto in campagna fin dalla nascita e da sempre ho respirato la natura, specialmente quella della vite prima e del vino poi. Mio padre era direttore-enologo di un’importante azienda del Collio.
Quando ha deciso che l’enologo sarebbe diventata la sua professione?
Respirando quell’aria era inevitabile non seguire quei profumi e quel costante attaccamento alla terra, facevano parte del mio quotidiano. È un amore che nasce da bambino ed è difficile staccarsene.
Quanto è importante per un enologo entrare in empatia con le persone che curano quella vigna e quelle colline?
In Francia si chiama terroir ed è tutto l’insieme dei valori che fanno parte integrante nella produzione di un vino. Le persone lo sono in modo particolare perché saper leggere tutti gli elementi che fanno parte del processo agronomico-enologico rivestono un ruolo fondamentale. Gli errori di incomprensione si pagano e, quindi, meno si sbaglia e migliore sarà il risultato finale. Gli uomini che seguono in processo agronomico-enologico devono far parte della tua interpretazione del vino e quindi si deve sempre ragionare all’unisono, altrimenti si perde sicuramente qualcosa lungo il percorso e il vino diventa un “puzzle senza qualche pezzo”, dunque, non completo.
Nell’immaginario collettivo degli appassionati di vino, dunque, non professionista, è il sommelier la figura più nota all’interno della catena “vino” mentre l’enologo lavora “dietro le quinte”. Quanto, secondo la sua esperienza, le due figure sono (se lo sono), in contrapposizione e quanto, al contrario, sono (se lo sono) complementari?
Non ritengo che ci siano figure più o meno importanti nella catena “vino”. Anche qui ci si deve esprimere all’unisono e non deve esistere contrapposizione ma sintonia tra le due figure. Il vino prima si produce e poi si consuma, per cui chi fa il vino e chi poi lo propone dovranno sempre interagire affinché. Chi lo beve, successivamente, sarà in grado di comprenderlo in tutte le sue sfumature.
Quanto è cambiata, più o meno positivamente, la sua professione, rispetto ai suoi esordi?
È cambiata la consapevolezza e, dunque, l’esperienza ha ridotto i margini di errore. Ma il concetto di come deve essere il mio vino è sempre lo stesso. Certo, nel frattempo, sono cambiati anche i gusti del consumatore. Credo, però, e, soprattutto, nei vini più “semplici”, quelli dove l’approccio dipende più dalla moda del momento. Nei vini “importanti” c’è più costanza e molta più esigenza da parte del consumatore “esperto” ed i parametri del DNA del vino non sono tanto cambiati nel tempo.
Pandemia e stato di salute del comparto vinicolo (Italiano e Internazionale), la sua esperienza attuale cosa può raccontare?
Non c’è dubbio che questa incresciosa situazione è stata, sia e sarà ancora per qualche tempo decisamente determinante per tutta l’economia e, quindi, anche per il comparto enologico. Comunque, tutto terminerà e tutto sarà dimenticato. Nel frattempo, dovremo prestare la massima attenzione agli inevitabili cambiamenti che la situazione contingente comporta. In Italia, molte aziende sono di proprietà di piccoli imprenditori, tendenzialmente di famiglie, che dovranno tirare la cinghia ancora per qualche tempo ma poi ritornerà il sereno. C’è tanta voglia di uscire e tornare ancor di più a bere qualche calice di vino. Sono fiducioso!
L’enologo è anche una figura controversa, acclamata dai più, ma anche oggetto di forti critiche da altri. Siete accusati di “creare” vini che devono soddisfare i canoni delle guide, insomma piacere a tutti. Fantasie, oppure c’è , in alcuni casi, una base di verità?
Il vino deve piacere a tutti, è il segreto di ogni grande vino o, comunque, di ogni vino di successo. Non ho mai creduto che si debba fare il vino per qualcuno. Penso che il vino sia la rappresentazione esemplare di un territorio e contenga la personalità di chi lo fa. L’enologo deve conoscere perfettamente questi parametri ed interpretarli senza sovrapporsi, anche se la sua firma è inevitabile che si riconosca.
Un suo pregio e un suo difetto, professionalmente parlando.
Sono come tante altre persone, con i soliti pregi e difetti. Tra i primi mi riconosco nella ricerca maniacale della precisione che sempre ho cercato nella definizione di un vino. Tra i difetti, forse, qualche volta questa ricerca è esagerata e mi rendo conto che diventa faticosa. Ma sono fatto così!
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