La vita di Vittorio Festa è indissolubilmente legata al mondo dell’enologia sin dalla tenera età. Un amore cresciuto nel tempo, grazie alla figura paterna, una vera icona del mondo enoico della regione Abruzzo. È proprio per merito del padre che una grande passione diventa un progetto di vita. A causa della sua prematura scomparsa, il giovane Vittorio raccoglie la pesante eredità e decide di dare una svolta alla propria esistenza, proseguendo, con non poche difficoltà iniziali, il percorso tracciato dal padre. Vittorio comprende fin da subito che le competenze tecniche, senza un adeguato marketing ed una corretta comunicazione valgono a poco. Le sue esperienze, con importanti realtà produttive, sono la conferma che la strada intrapresa era quella giusta.
Lo incontriamo oggi, con i valori di ieri, la conoscenza e la professionalità di un’enologia moderna.
Come e quando è nata la passione per il vino?
Passione e Tradizione sono due parole che vanno di pari passo e accompagnano il mio percorso lavorativo. Mio padre era enologo, forte personaggio, sognatore e visionario che ha sempre affiancato i produttori ed è stato protagonista nella nascita di buona parte delle cantine sociali della provincia di Chieti. Uno dei fondatori della DOC Montepulciano e Trebbiano D’Abruzzo, mio padre aveva intuito le grandi potenzialità che l’Abruzzo enologico aveva. La sua figura è stata determinante per la nostra regione e il suo acume lo portò a essere uno dei fondatori del primo consorzio della Doc Montepulciano d’Abruzzo (1968). Negli anni ’70, fu lui a spingere per la creazione delle cantine sociali. Un passo importante è stato senza dubbio la sua battaglia del Pergolone, battaglia che ha permesso a molti produttori di avere grandi vantaggi economici, sebbene, dal punto di vista tecnico, ha provocato non poche critiche. L’intuizione di far crescere l’Abruzzo enologico e di mettere il vino in bottiglia e con le cantine riunite ha preso forma con la creazione del Consorzio cooperative riunite d’Abruzzo Citra (1973). Essendo un uomo di grandi intuizioni, mio padre ebbe un’idea di marketing che solo un uomo “moderno nelle idee” poteva avere. Scrisse un comunicato stampa nel quale affermava che avrebbe regalato mille bottiglie di vino abruzzese a colui che segnava il primo goal ai mondiali e lo fece. Comunicazione e marketing negli anni ‘80. Questo è stato mio padre, un uomo che ha sempre agito per il bene comune e ha portato vantaggi al mondo vitivinicolo abruzzese, con non poche difficoltà ma con grande determinazione. Un uomo che, pur di portare avanti il bene sociale ha, in certi casi, danneggiato la sua figura. Egli è stato il fondatore del Centro Tecnico Enologico, il nostro laboratorio di analisi accreditato che, ancora oggi, rappresenta un supporto fondamentale alla mia professione.
Quando ha deciso che l’enologo sarebbe diventata la sua professione?
Con la perdita prematura di mio padre, ho dovuto affrontare non poche difficoltà ed è proprio in quel momento che ho pensato di cambiare completamente lavoro. Alcuni amici di mio padre mi hanno lasciato solo, fino a farmi pensare di essere inadeguato per questo lavoro. Ero pronto ad abbandonare questo settore, visti i veri e propri tradimenti professionali. Nonostante ciò, la passione era forte e le figure importanti che hanno sostenuto, sia dal punto di vista emotivo che lavorativo mi hanno dato la spinta per continuare. Tra loro, ci tengo a ricordare Mimì D’Auria . Poi però, un evento importante come il Vinitaly e i successi che le mie cantine hanno avuto in quell’anno nell’ambito di questa importante manifestazione, mi hanno dato la spinta di cui tanto avevo bisogno per andare avanti. Oltre alla soddisfazione personale, derivata da questi risultati clamorosi, sono stato apprezzato professionalmente anche da chi, inizialmente mi aveva deluso. Questo evento ha tracciato il mio percorso lavorativo, ed è stata la chiave di volta e che mi ha portato a fare ciò che più amavo, ovvero abbandonando tutte quelle che sono le attività burocratiche (registri, haccp..). Da qui, ho maturato la mia decisione di fare l’enologo, di continuare ciò che papà aveva iniziato e fatto con tanta passione e dedizione. Non potevo seguire il suo percorso per i molteplici cambiamenti che ci sono stati nel corso degli anni, ed è per questo che mi sono dedicato esclusivamente al vino che è la cosa che mi fa stare bene e non mi fa pesare la fatica e i sacrifici che faccio ogni giorno.
Quanto è importante per un enologo entrare in empatia con le persone che curano quella vigna e quelle colline?
Ormai, la figura dell’enologo ha bisogno di empatia ma anche e soprattutto di fiducia, e bisogna condividere con i produttori la propria filosofia di lavoro e di vita affinché tutto funzioni al meglio. È scontato che dall’altra parte, dietro questi aspetti più umani e generici, ci deve essere come in tutte le attività, un continuo aggiornamento sulle tematiche. Amo nuove sfide e sperimentare, solo in questo modo sia l’enologo che il produttore ogni anno possono alzare l’asticella del successo (il segreto del successo sta nella continua ricerca, con il fine di migliorare la qualità del vino prodotto e questo si può fare solo se si lavora con grande amore e passione). Tutto questo, va di pari passo con la consapevolezza di lavorare e mantenere le vigne entrando nell’ottica di attenzione al sistema e qui inserisco un termine sostenibilità che sentiremo sempre più spesso. La nostra attenzione è sempre più rivolta all’aspetto salutistico e alla salvaguardia/tutela del nostro territorio.
Nell’immaginario collettivo degli appassionati di vino, dunque, non professionista, è il sommelier la figura più nota all’interno della catena “vino” mentre l’enologo lavora “dietro le quinte”. Quanto, secondo la sua esperienza, le due figure sono (se lo sono), in contrapposizione e quanto, al contrario, sono (se lo sono) complementari?
Le due figure sommelier/enologo si integrano nella filiera del vino. Sono assolutamente complementari anche se svolgono attività diverse. Il sommelier, (20 anni fa) era una persona addetta al servizio e abbinamento cibo/vino. Oggi, va dato atto alle associazioni di categoria FIS, AIS, FISAR di aver svolto un lavoro importantissimo, in quanto hanno valorizzato la figura del sommelier ma hanno avuto anche il pregio di creare questa sorta di trait d’union tra produttore /consumatore / appassionato. Alcuni sono anche diventati opinion leader, esperti giornalisti che hanno fatto di questa formazione una vera e propria professione, una figura di altissimo livello. L’enologo per il percorso di studio che intraprende ha, sicuramente, le basi per poter avere un ruolo su tutta la filiera. L’enologo è una figura tecnica, il garante del brand, rimasto legato a degli schemi più rigidi e, nonostante avesse tutte le competenze per poter gestire tutte le mansioni dalla vigna alla commercializzazione, è rimasto fermo. Oggi, gli enologi si sono inseriti in ambiti diversi come può essere la vendita di attrezzature e coadiuvanti per l’enologia, ha competenze agronomiche quindi è una figura completa fino ad occuparsi della commercializzazione e comunicazione.
Quanto è cambiata, più o meno positivamente, la sua professione, rispetto ai suoi esordi?
È cambiata totalmente, ma non solo la professione. È cambiato il nostro modo di vivere collegato alla comunicazione e alla tecnologia. Basti pensare alla tecnologia ora esistente in agricoltura. È possibile attraversare le vigne e contare i pali rotti o le viti mancanti. Questo solo per parlare della vigna. In cantina, le cose sono cambiate da un punto di vista organizzativo, con tecnologie sempre più elevate si riducono le ore di lavoro dal monitoraggio delle uve fino all’imbottigliamento, automatizzando molti processi. Tutto questo, per poter garantire maggiore qualità e ridurre l’uso di coadiuvanti nel vino. Ho citato due momenti della filiera, ma potemmo citare tanti altri passaggi che sono migliorati. A non essere cambiati sono gli attori principali: l’uva e l’uomo, le “materie prime” e determinanti di tutto il processo. Tutto il resto è solo accessorio. Utile per lavorare meglio, ma per creare un grande vino non bastano tutte le attrezzature del mondo: servirà sempre la più grande uva e la sua interpretazione.
Pandemia e stato di salute del comparto vinicolo (Italiano e Internazionale), la sua esperienza attuale cosa può raccontare?
“Il vero marinaio si vede col mare in tempesta”. Io mi sento un marinaio dalla morte di mio padre. Ho sempre dovuto fare il doppio dello sforzo per dimostrare le mie capacità. L’Italia ha già vissuto momenti drammatici in passato, basti pensare allo scandalo del metanolo per avere un’idea di quello che il comparto vinicolo ha dovuto sopportare e i danni che ne sono derivati. Nonostante tutto c’è stato un vero rinascimento del vino italiano, un brand solido e condiviso a vantaggio dell’intero sistema enologico nazionale, che ha rafforzato la presenza all’estero dei vini “Made in Italy”. Il know-how italiano sui controlli nel vino e nel cibo è riferimento nel mondo. Tutto questo, anche grazie alla voglia dei produttori italiani di mettersi sempre in gioco, di lanciarsi in nuove sfide e non solo per un guadagno maggiore ma solo per il desiderio appassionato di migliorare e offrire un vino sempre migliore. La pandemia ha rallentato, sicuramente, il percorso ma non può fermarlo. Lavorando con imprenditori vitivinicoli non ci si può fermare mai, anche con la pandemia non ci siamo mai fermati con i lavori in vigna e in cantina. Il vino come la vigna, è materia viva e necessita di cure e attenzioni continue. Con tante problematiche anche economiche ma non siamo mai stati fermi. L’agricoltore è una vera macchina da guerra e grazie anche all’ingresso delle nuove generazioni, che sono entrate in diverse aziende e alla tenacia con cui ancora i protagonisti fanno il loro lavoro siamo andati avanti. Aggiungo solo che, in un momento così eccezionale, la burocrazia avrebbe dovuto semplificare alcuni passaggi. Forse è mancato questo e non solo in agricoltura.
L’enologo è anche una figura controversa, acclamata dai più, ma anche oggetto di forti critiche da altri. Siete accusati di “creare” vini che devono soddisfare i canoni delle guide, insomma piacere a tutti. Fantasie, oppure c’è , in alcuni casi, una base di verità?
Alla base del lavoro delle aziende esistono delle caratteristiche diverse, uno la materia prima che determina le diverse scelte e i percorsi intrapresi. Il secondo aspetto, il gusto e la filosofia del lavoro del produttore a secondo della tendenza biologico, biodinamico e l’enologo entra in sintonia con il team e si fonde con le idee e capirle e avere la sensibilità per interpretare le idee del produttore e fare in modo che coincidano con le esigenze e i gusti del consumatore. Personalmente, lavoro incontrando le idee del produttore e insieme facciamo in modo che esca il vino con caratteristiche personalizzate. A mio avviso, il lavoro costruttivo e duraturo deve nascere dal gruppo e non dal singolo. Un vino fatto su misura come un abito cucito addosso. Io ho sempre cercato di fare il vino che rispecchi il produttore in quanto il vino è la sua identità e deve raccontare la sua storia. Alcuni riconoscimenti arrivano a prescindere, io credo che il lavoro autentico premi sempre, anche se in tempi più lunghi e sicuramente con più difficoltà. Il produttore più soddisfatto è quello che porta a casa il premio per l’enologo famoso o quello che ha il vino che ha creato e voluto lui con il supporto dell’enologo?
Un suo pregio e un suo difetto, professionalmente parlando.
L’altruismo: pregio e difetto.
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