Credits: © Ph. Gianni Menotti Enologo
La cantina è il cuore pulsante dell’azienda vitivinicola. In essa, si fondono la manualità degli operatori e il sapere dell’enologo. A loro supporto la tecnologia, elemento ormai irrinunciabile ma che, secondo alcuni, ha tolto la poesia di un lavoro che si perde nella notte dei tempi.
Chiediamo a Gianni Menotti, esperto del settore, il suo pensiero sul tema.
Qual è il suo parere sull’affermazione: “Il vino non si fa più in vigna, ma solo in cantina”? Una frase fatta o nasconde un fondo di verità?
Non ritengo sia una frase fatta e, comunque, non mi appartiene. Sono anche agronomo e, pertanto, non potrei mai pensare che il vino si faccia solo in cantina.
Per me, il miglior enologo è colui che, fatto 100 il valore dell’uva, riesce a mantenere questo potenziale nella trasformazione in vino.
Quindi, tutto dipende dalla vigna!
La tecnologia in cantina quanto ha migliorato e quanto spersonalizzato il lavoro dell’enologo?
Dipende dalle tecnologie utilizzate. Molte rispettano il valore dell’uva e del vino, altre, per esempio, riducono i tempi di lavorazione riducendo anche il valore dell’uva o del vino.
In linea di massima, però, la tecnologia di ultima generazione è decisamente di altissimo livello per cui l’utilizzo riconduce quasi sempre al mantenimento qualitativo del prodotto e soprattutto ad evitare errori in tutte le fasi della vinificazione.
Secondo la sua esperienza a quale strumento tecnologico, oggi, è impossibile rinunciare?
Uno degli strumenti che, ormai, da anni, risulta indispensabile è la catena del freddo che è stata, forse, la tecnologia più importante degli ultimi 50 anni.
Ormai, è presente in quasi tutte le cantine ed ha ridotto di tantissimo i problemi enologici che sistematicamente si verificavano senza l’ausilio di questa importante e soprattutto “non invasiva” tecnologia. È uno strumento fisico assolutamente naturale che aiuta il tecnico a controllare tutte le fasi della vinificazione.
Quali sono le principali criticità di una cantina e qual è il suo modus operandi per porvi rimedio?
La principale criticità è prima, durante e subito dopo la fermentazione quando milioni di processi biologici di trasformazione si susseguono in maniera rapidissima.
L’enologo deve conoscerli e saperli condurre affinché si sviluppino in maniera naturale e senza deviazioni che porterebbero a modificare il risultato finale che deve essere sempre rivolto all’ottenimento della massima qualità.
Quindi, l’uva deve essere perfetta sia dal punto di vista sanitario, sia della maturazione, ricercando nell’equilibrio di tutti gli elementi naturali presenti nella bacca, la massima potenzialità qualitativa.
Nel suo immaginario, come dovrebbe essere strutturata la sua cantina ideale? È riuscito a trovarla in qualche azienda?
Come tutte le cose ideali è un po’ difficile trovarla totalmente perfetta. Quello che conta di più, a mio parere, è il territorio. Esso rappresenta il punto di partenza fondamentale per ottenere un gran risultato. La Cantina è una conseguenza e deve solo essere strutturata per consentire la trasformazione dell’uva in vino senza intaccare i parametri naturali presenti nell’uva. Devo dire che con le mie aziende sono riuscito ad avere molto di quello che mi serve che si traducono in una sintonia di pensiero tra me, la proprietà ed il territorio. Mi sto ripetendo nei concetti e, come vede, punto sempre nell’equilibrio agronomico-enologico, ma mi creda, è tutto qui.