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Credits: © Ph. Dario Parenti Enologo
La cantina è il cuore pulsante dell’azienda vitivinicola. In essa, si fondono la manualità degli operatori e il sapere dell’enologo. A ciò, si aggiunge la tecnologia, elemento ormai irrinunciabile ma che, secondo alcuni, ha tolto la poesia di un lavoro che si perde nella notte dei tempi.
Chiediamo all’enologo Dario Parenti il suo parere in merito.
Qual è il suo parere sull’affermazione: “Il vino non si fa più in vigna, ma solo in cantina”? Una frase fatta o nasconde un fondo di verità?
No, penso anzi sia il contrario. La centralità della cantina credo sia un retaggio di fine anni ’90 – inizi anni 2000. Oggi, c’è grande consapevolezza, a tutti i livelli produttivi (ancor di più presso le realtà produttive più piccole), dell’importanza di portare uve equilibrate in cantina. Il lavoro di cantina, a quel punto, deve essere mera funzione di una protezione prima e di un’esaltazione poi del corredo aromatico e polifenolico delle uve.
La tecnologia in cantina quanto ha migliorato e quanto spersonalizzato il lavoro dell’enologo?
Il progresso enotecnico ha, sicuramente, giovato all’attività dell’enologo. Dobbiamo, però, essere capaci di distinguere quelle attrezzature, effettivamente, utili da quelle che spersonalizzano l’identità dell’uva e del vignaiolo ancor prima del lavoro dell’enologo (ad esempio, l’estrazione violenta e uniformatrice della Flash-Detente).
Secondo la sua esperienza a quale strumento tecnologico, oggi, è impossibile rinunciare?
L’idropulitrice! L’igiene è la conditio sine qua da cui partire per lavorare bene in cantina. A seguire, poi, una buona pompa (peristaltica e mohno in primis) che tratti con rispetto mosto e vino è fondamentale nel mantenere la qualità dal vigneto alla cantina. Molte altre attrezzature disponibili sono, ulteriormente, utili ma le ritengo irrinunciabili solo quando funzionali a raggiungere determinati obiettivi enologici, difficile elencarle tutte.
Quali sono le principali criticità di una cantina e qual è il suo modus operandi per porvi rimedio?
Dipende sempre dalla struttura e dall’impostazione della cantina. Mi viene da pensare al rischio che si ha, in cantine più vecchie, di un rischio di ristagno di acque post-lavaggio e una limitata possibilità di igienizzazione con conseguente rischio di creare fonti di inoculo di microrganismi dal potenziale altamente inquinante.
Dal punto di vista logistico-organizzativo, sicuramente, un’ottimale capacità di ricezione in vendemmia e una comoda gestione dei vini in affinamento di più annate.
Nel suo immaginario, come dovrebbe essere strutturata la sua cantina ideale? È riuscito a trovarla in qualche azienda?
Difficile dirlo, però, oltre alla già citata esigenza di un ambiente facilmente igienizzabile, un buon controllo sull’umidità e sulla temperatura ambientale è fondamentale, specie per gli ambienti di affinamento in legno.