La divulgazione della cultura dell’olio Extra vergine di oliva non può prescindere da una comunicazione volta a conoscere la storia di un alimento dalla storia nobile e antica.
In tempi in cui il consumatore medio fatica ancora a capire la differenza tra un EVO artigianale e uno industriale (spesso, optando per quest’ultimo), raccontare le origini, di quello che studi scientifici hanno confermato essere un ingrediente ricco di virtù, è un valore aggiunto.
L’olio extra vergine di oliva si racconta in vari modi, a tavola, con l’oleoturismo ma anche attraverso le visite ai Musei dell’olio. Forse, ancora non abbastanza popolari, i Musei dell’Olio sono una straordinaria realtà, soprattutto in un Paese dall’importante storia olivicola come l’Italia.
Il MOOM: Matera olive oil Museum è uno dei punti di riferimento sul tema. Una testimonianza di valore che conosciamo meglio attraverso Marco Montemurro, gestore del Museo.
L’anima forte e speciale di Matera si esprime pienamente anche tra le mura del MOOM, la cui particolare caratteristica è proprio quella di essere situato all’interno di un antico frantoio. Può descrivere in breve l’edificio del Museo e raccontarne la storia?
Il museo è situato all’interno di un antico frantoio ipogeo nella parte del Sasso Caveoso. Si pensa che, in base al periodo di sviluppo cittadino della zona e ai segni delle tecnologie utilizzate, potrebbe essere stato attivo già dal 1600. Probabilmente, l’opificio era proprietà del clero e vi si trasformavano le olive provenienti dai molti appezzamenti di proprietà della Chiesa e per trasformazione conto terzi. Le dimensioni del frantoio sono state ampliate con il tempo andando ad aumentare le zone per lo stoccaggio e per la lavorazione incrementando il numero di presse. Alla fine del 1800 è stato inoltre costruito il piano superiore destinato allo stoccaggio delle olive. Qui tramite un foro nel pavimento le materie prime potevano cadere direttamente nella molazza. I molti pozzetti di decantazione sono stati ritrovati in seguito a veri e propri scavi che hanno permesso di riportare alla lue l’antico frantoio, del quale all’inizio dei lavori di ristrutturazione (dal 2014 al 2016) erano, totalmente, coperti dalle attrezzature enologiche. Infatti, già dal primo dopoguerra il frantoio era stato trasformato in cantina.
Come è organizzata la visita al frantoio? Cosa è possibile vedere?
La visita prevede un tour con guida o tablet (audioguida) che parte dall’esterno del museo per far conoscere ai visitatori il contesto cittadino nel quale era situato il frantoio. In seguito, si accede al piccolo cortile interno dove sono mostrate le pietre utilizzate per incassare i torchi. Successivamente, si visita l’ingresso dell’ipogeo, il quale, inizialmente, con le luci spente, mostra le difficili condizioni di lavoro dei frantoiani (sono presenti piccole riproduzioni di lampade ad olio). Tutto il processo di trasformazione con la spiegazione delle attrezzature parte dalla stalla, andando poi nella sala della molazza, la sala centrale con i torchi e le zone destinate allo stoccaggio di materie prime, prodotto finito e scarti. La raffigurazione dell’intero processo è anche riprodotta tramite le ceramiche di un noto artista locale (Peppino Mitarotoda). La visita nella parte inferiore del museo termina con la “stanza” del frantoiano e con la spiegazione dei dipinti ritrovati. Ma non è tutto. La visita prosegue al piano superiore dove il deposito delle olive è stato trasformato in sala degustazione. Una breve spiegazione delle caratteristiche dell’olio extravergine di oliva è accompagnata dall’assaggio del nostro olio aziendale (Az. agr. L’Uliveto di Como Donatella). Durante tutto il percorso il personale si mette a disposizione per qualsiasi chiarimento su attuali processi di produzione, dalla parte agronomica a quella tecnologica e nutrizionale anche grazie alle proprie competenze tecniche. La visita completa dura circa 40/45 minuti.
Quale tipologia di visitatore prevale (in generale, escludendo il periodo attuale): scolaresche, turismo locale, nazionale, internazionale…e quali tra loro sembrano essere maggiormente attratti dalla visita?
I principali visitatori sono stranieri o del nord Italia. Abbiamo anche attirato l’attenzione di visitatori locali tramite organizzazione di eventi ad hoc e di scolaresche, studiando un programma di visita differenziato in base all’età de visitatori. In tutte le visite, cerchiamo di raccontare non solo la storia del museo ma anche tutto quello che rappresenta l’agricoltura e la produzione di alimenti, dal passato ad oggi.
Che ruolo ricoprono musei come il MOOM nell’educazione alla cultura dell’EVO?
Sono alla base della cultura alimentare e dell’EVO in particolare. Questi musei sono luoghi dove entrano sia persone del settore che persone totalmente estranee, ed è proprio su di loro che si avverte, maggiormente, il ruolo della divulgazione tecnico/scientifica. Capita spesso, infatti, di rispondere a domande sul sapore, sulla produzione e conservazione e sul significato delle indicazioni in etichetta. Purtroppo, ad oggi, molte persone sono legate a processi tradizionali che non permettevano l’ottenimento di prodotti qualitativamente superiori. La difficoltà ed il ruolo di operatori museali come noi è formare ed informare i visitatori e consumatori sulle tecnologie attuali e su come poter riconoscere dei prodotti di qualità, capendo i pregi e i difetti.