Ci sono territori, della nostra Penisola, che, grazie a Madre Natura, sono stati dotati di condizioni pedoclimatiche uniche, le quali hanno permesso di realizzare produzioni di vera eccellenza.
La creazione di simili preminenze passa dal lavoro e da studi di figure illuminate, grazie a quanto messo a loro disposizione dal terroir hanno dato un valore e raggiunto picchi di perfezione sino a pochi anni fa sconosciuti.
Salvo Foti, catanese classe 1962, è una figura di spicco nella valorizzazione della produzione dei vini dell’Etna. È proprio grazie a donne e uomini, come lui che i vini dell’Etna sono diventati una splendida realtà del panorama enologico italiano, conosciuto in tutto il mondo. Una vita dedicata all’enologia, non solo attività in cantina ed in vigna, ma anche docenze e pubblicazioni di libri: una vita dedicata, nella sua interezza, alla viticoltura.
Come e quando è nata la passione per il vino?
Ho sempre vissuto in un ambiente vitivinicolo, quello etneo, dove quasi tutti producevano del vino allora, anche se destinato alla vendita dello sfuso. Quasi nessuno imbottigliava, solo pochissime aziende. Il lavoro in vigna e poi la vinificazione nel Palmento sono stati sempre per me un piacere, oltre che un bel lavoro.
Quando ha deciso che l’enologo sarebbe diventata la sua professione?
Da piccolo, ovviamente, non pensavo che produrre vino fosse una professione di rilievo. Ho scoperto alle medie, documentandomi, che, proprio a Catania, vi era una di quelle Scuola Enologiche fondate a fine 1800 su regio decreto nelle migliori zone vitivinicole d’Italia: (Alba, Avellino, Conegliano, etc.). Finite le Medie, ho frequentato questa scuola. In classe, eravamo solo in 13! Nel frattempo, ho sempre lavorato sia in vigna che in cantina, sia con i vecchi sistemi, ma anche con quelli della nuova tecnica enologica, che, via via, si diffondeva e fagocitava, in breve tempo, l’antica vitivinicoltura.
Quanto è importante per un enologo entrare in empatia con le persone che curano quella vigna?
Se fai un vero lavoro di squadra, se sei un leader di un gruppo di viticoltori, se l’incidenza della meccanizzazione è bassa e hai fatto una scelta in cui gli uomini, in qualità e quantità, sono al centro del lavoro, l’empatia è imprescindibile. Posso affermare, per la mia esperienza ormai più che trentennale, che la vera difficoltà, o se volete capacità, non è sapere coltivare le vigne, ma sapere coltivare gli Uomini!
Nell’immaginario collettivo degli appassionati di vino, dunque, non professionista, è il sommelier la figura più nota all’interno della catena “vino” mentre l’enologo lavora “dietro le quinte”. Quanto, secondo la sua esperienza, le due figure sono (se lo sono), in contrapposizione e quanto, al contrario, sono (se lo sono) complementari?
Personalmente, ritengo che le due figure possono essere solamente complementari. Ognuno fa un lavoro diverso, in contesti diversi e si occupa di aspetti differenti del “mondo del vino”: è inutile ricordare qui quale è la differenza tra i due ruoli. Forse, il problema potrebbe sorgere quando uno dei due, pretende di fare il lavoro dell’altro. Vorrei precisare una cosa, che vale per entrambi: il fatto di completare gli studi e ottenere il titolo di enologo o quello di Sommelier, non significa che ci si può considerare un bravo enologo o un bravo sommelier. Il tempo, che è sempre “galantuomo”, farà il bravo Sommelier o il bravo Enologo.
Quanto è cambiata, più o meno positivamente, la sua professione, rispetto ai suoi esordi?
Ovviamente molto. Oggi, vi è più consapevolezza, informazione in quello che si fa. Anche gli strumenti sono diversi e spesso più efficaci di un tempo. Per un certo verso, se da un lato è migliorata, dall’altro si è complicata. Oggi, la consapevolezza e la maggiore conoscenza ci pone nelle condizioni di dover e poter fare delle scelte ben precise di cui conosciamo le conseguenze, con particolare attenzione all’Ambiente, alle persone e all’etica produttiva. Il consumatore informato, giustamente (era ora) inizia a non volere solo un vino-brand, ma un vino che oltre ad avere ottime caratteristiche qualitative, sia anche un prodotto territoriale, culturale ed eco-sostenibile.
Pandemia e stato di salute del comparto vinicolo (Italiano e Internazionale), la sua esperienza attuale cosa può raccontare?
In vigna per noi viticoltori non è cambiato nulla: bisogna continuare a coltivare la vite indipendentemente da tutto. In cantina i lavori vanno fatti lo stesso, si possono solo rimandare alcune cose. Le vendite, siamo stati fortunati, leggermente inferiori, ma non si sono fermate. Possiamo dire che i nostri clienti hanno continuato a bere il nostro vino. La cosa che ci manca, per colpa di questa pandemia, è il contatto con i consumatori, giornalisti, che venivano a vedere, in tantissimi, i nostri vigneti, i nostri paesaggi: quelli sì ci mancano molto!
L’enologo è anche una figura controversa, acclamata dai più, ma anche oggetto di forti critiche da altri. Siete accusati di “creare” vini che devono soddisfare i canoni delle guide, insomma piacere a tutti. Fantasie, oppure c’è, in alcuni casi, una base di verità?
L’Enologo è un Uomo, e come nel genere umano, non vi è un enologo uguale ad un altro enologo. Ognuno fa il vino che è. Oggi, ritengo sia chiaro a tutti, che il vino è un prodotto agricolo che deve la sua qualità, non solo semplicemente all’enologo, alle sue caratteristiche tecniche enologiche, ma, assodato il suo livello qualitativo, ad altri aspetti che sono di tipo territoriale, culturale, antropologo, storico, ambientale (vorrei aggiungere anche etico) e, non in ultimo, temporale. Nel momento in cui un buon vino ci soddisfa con le sue caratteristiche di tipicità qualitativa e culturale, allora quello che gli dà un valore aggiunto e lo eleva a qualcosa di eccellente è solo una cosa: il tempo! Il suo più alto valore dipende da quanto tempo è prodotto, da quanto tempo sono le stesse viti a produrlo e da quanto tempo è lo stesso vitivinicoltore o civiltà vitivinicola a produrlo. Quindi il “Vino” non può essere una moda, un prodotto di sintesi, un prodotto riconducibile ad un solo uomo.
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