Credits: © Ph. Carlo Roveda Enologo
La cantina è il cuore pulsante dell’azienda vitivinicola. In essa, si fondono la manualità degli operatori e il sapere dell’enologo. A ciò, si aggiunge la tecnologia, elemento ormai irrinunciabile ma che, secondo alcuni, ha tolto la poesia di un lavoro che si perde nella notte dei tempi.
Chiediamo all’enologo Carlo Roveda il suo parere in merito.
Qual è il suo parere sull’affermazione: “Il vino non si fa più in vigna, ma solo in cantina”? Una frase fatta o nasconde un fondo di verità?
Bisogna distinguere: ci sono due enologie entrambe rispettabili. Una è orientata alla preparazione di vini di “prima fascia”, prodotti commerciali che hanno un ruolo importante nel mercato nazionale ed estero. È importante avere a disposizione materia prima di qualità standard che poi verrà valorizzata e caratterizzata con le attività di cantina. C’è poi una produzione di livello qualitativo più alto, in cui le peculiarità del terroir, quindi l’ambiente, il terreno, le pratiche agronomiche, il vigneto è determinante nell’ottenimento di vini per un mercato meno orientato al prezzo, più esigente e sempre incline a ricercare nel “bicchiere” i caratteri distintivi della zona di produzione. Infatti, i vigneti nelle grandi zone viticole hanno raggiunto prezzi elevatissimi testimoniando il grande interesse che esercitano.
La tecnologia in cantina quanto ha migliorato e quanto spersonalizzato il lavoro dell’enologo?
La tecnologia di cantina è sempre stata un alleato dell’enologo. Certi livelli qualitativi non sono raggiungibili senza un adeguato supporto tecnologico. È importante saper scegliere e orientare le tecnologie per valorizzare e non per standardizzare, per far esprimere nel modo migliore le peculiarità del terroir. Quindi non spersonalizza ma caratterizza il lavoro dell’enologo.
Secondo la sua esperienza a quale strumento tecnologico, oggi, è impossibile rinunciare?
Tutte le tecnologie di cantina ormai consolidate da decenni sono indispensabili, esempio il freddo, la pressatura soffici delle uve e molte altre fanno parte del DNA di ogni cantina. Quello, però, che intendo sottolineare è l’utilizzo responsabile delle biotecnologie specifiche per il vino che hanno portato a miglioramenti qualitativi importanti, esempio la riduzione considerevole del contenuto di anidride solforosa, Non dimentichiamo poi l’informatizzazione del processo produttivo, la tracciabilità di tutta la produzione, è fondamentale per le aziende medio/grandi per garantire il livello qualitativo dei propri vini.
Quali sono le principali criticità di una cantina e qual è il suo modus operandi per porvi rimedio?
Le più diffuse sono le criticità strutturali, disponibilità di spazi, di capienza, capacità produttive di alcune macchine non adeguate alle esigenze. Si rende necessario una programmazione accurata di tutte le fasi di produzione. Le criticità più pericolose sono però quelle organizzative delle aziende medio grandi, bisogna stabilire con chiarezza i ruoli, le competenza, le responsabilità conseguenti di ciascuno. Gestire il “materiale umano” non è sempre facile, saper instaurare un rapporto collaborativo è essenziale.
Nel suo immaginario, come dovrebbe essere strutturata la sua cantina ideale? È riuscito a trovarla in qualche azienda?
La cantina ideale deve essere, a mio parere, integrata nell’ambiente, un tutt’uno con esso, con la sezione produttiva semplice lineare chi permetta al flusso di produzione di realizzarsi senza intoppi o “colli di bottiglia”. La parte dei servizi, delle attività amministrative, dell’accoglienza dei clienti è bene abbia delle caratteristiche più scenografiche, in sintonia con la sensibilità e la cultura locale.
Le strutture realizzate fino a qualche decennio fa erano prettamente funzionali alla produzione, ora si tende a dare più importanza all’immagine, alla comunicazione, alla scenografia, non sempre soddisfano appieno le esigenze produttive.