The Wolf Post, supported by a Cultural Association, offers a professional service with free access, without subscription.
For this reason, a donation would also be a sign of appreciation for our work.
Sulla panchina della tenuta del nonno, Le Bon Pasteur, a Pomerol (Francia), il piccolo Michel Rolland non ha solo giocato, non ha solo trovato riposo dopo le lunghe corse tra i vigneti. Lì, in quella panchina di pietra, in cui il tempo ha lasciato i suoi segni indelebili, quello che in futuro sarebbe diventato uno degli enologi più influenti al mondo, ha costruito ricordi. Costruire ricordi è un’arte che da adulti richiede impegno e attenzioni, da bambini, invece, l’ingrediente essenziale per fermare la memoria è l’amore. L’amore per il luogo in cui si cresce e per le persone che circondano il mondo colorato dell’infanzia.
Michel Rolland è stato un bambino amato dai nonni e dai genitori, figure chiave anche nella condivisione della passione per la terra, per i vigneti, come egli stesso afferma nella brillante autobiografia, “Michel Rolland. Il guru del vino” (Edizioni Ampelos), scritta quattro mani dall’enologo francese con Isabelle Bunisset.
“Geneviève fu una madre molto premurosa, piena di amore per i suoi due birbanti che (…) le causavano ansia e insonnia. Soprattutto quando sottraevamo la Citröen Ami 6 al calar della notte per raggiungere i nostri amici”.
Il punto di partenza, di arrivo e ritorno è sempre Pomerol. In quel fazzoletto di terra, abitato ancora oggi da poche anime, nella regione della Nuova Aquitania, dove i vigneti si “intrecciavano l’un l’altro”, Rolland ha ricordi netti dei nonni che lavoravano la terra quindici ore al giorno, senza l’aiuto della tecnologia contemporanea.
Ciò che siamo dipende anche dall’esempio che ognuno di noi riceve in famiglia. L’esempio del nonno che, instancabilmente, amava la vigna “come una vera compagna di vita” ha, inevitabilmente, influito nelle scelte future di Rolland. Anche il padre, Serge, segue le orme del nonno di Michel: “Serge Rolland era un lavoratore onesto e impeccabile… lo rivedo ancora mentre si girava per le nostre cantine buie e impossibili da mantenere in ordine”.
Per Michel il futuro è già segnato: “Il ragazzino in calzoncini corti, quale ero nella Francia degli anni ’50, sognava di inseguire le orme di James Dean. Ma, in fatto di orme, in realtà, vedevo solo quelle dei trattori”.
Da quei trattori, da quei vigneti e dalle figure di famiglia ha inizio il lungo percorso, non scevro di difficoltà, che porterà Michel Rolland nell’Olimpo del mondo del vino.
“Non mi sono mai chiesto se produrre vino sarebbe diventato un giorno il mio lavoro. Neanche i miei genitori e i miei nonni si ponevano la questione. Ogni giorno vedevo mio padre lavorare nei vigneti e nella cantina. Sapevo che il mio turno sarebbe arrivato presto”.
Classe 1947, Rolland, terminati gli studi al liceo di agraria, si iscrive alla scuola vinicola. Nel ’68 l’incontro con la futura moglie, Dany Bleynie che, come il marito, intraprenderà gli studi di enologia. Una coppia inossidabile sia nella vita privata che nel lavoro. Entrambi, terminata la formazione, trovano occupazione presso alcune cantine locali. A quel tempo, l’enologo era una figura poco apprezzata ed emergere non era affatto semplice: “Va notato che questo mestiere non godeva di alcun prestigio. Eravamo considerati i figli poveri della Facoltà. Spesso, mi sentivo addosso lo sguardo accondiscendente , per non dire sprezzante, di alcuni miei compagni, quando dichiaravano con arroganza: «Io faccio me-di-ci-na» (…) Feci quindi una promessa a me stesso, dare maggiore brio alla professione”. Una promessa mantenuta nell’arco di una carriera lunga che non sarebbe stata tale senza gli studi e la gavetta. Émile Peynaud è stato il mentore di Rolland, celebre ricercatore, noto per essere stato l’antesignano dell’enologia moderna. A lui, Rolland dedica alcune pagine del libro.
Aspirazioni, studio, intenzioni, intuizioni, stroncature, sconfitte e vittorie, la vita di Rolland è come un film. Dalla lettura della sua biografia emergono anche aneddoti di rivalità, invidie racchiuse in una frase di Rolland che è la chiave del racconto: “Anche il vino può offrire una potente drammaturgia” .
Ciò che ha fatto la differenza nella vita professionale di Rolland è stata l’intuizione, un talento che, però, non sempre è facile esprimere. Non occorre solo studio ma è necessario sbagliare, attendere, sbagliare ancora e poi tentare di dare una possibilità alle proprie intuizioni.
“Quando ero giovane , la mia immaginazione non superava quella dei miei avi (…) si era fatalisti e ignoranti per abitudine (…). Negli anni ’60 ci si preoccupava più della produzione che della qualità”. Inoltre, un altro limite importante era l‘empatia con i titolari di azienda, ai quali era difficile far comprendere che innovare era il solo mezzo per progredire: “Gli anni ‘60 e ‘ 70 furono anni non senza difficoltà, seppure alternati a periodi floridi. L’enologia era ben diversa da quella contemporanea, i proprietari che capivano l’importanza di studiare non solo in cantina ma anche e soprattutto in vigneto erano ancora pochi. In tanti credevano fosse sufficiente il sapere tramandato da padre in figlio”.
Il 1985, fu un anno decisivo. Rolland introdusse una pratica “che avrebbe scosso, in modo permanente, il mondo viticolo: la vendage verte (la vendemmia verde, il diradamento del grappolo). Le critiche furono feroci ma, del resto, lo stesso Rolland non ne fa mistero: “Il mondo del vino è spietato. Vi sono lotte interne, più o meno celate, da cui emerge un mondo ben diverso da quello che l’immaginario collettivo crede”.
Il tempo, la tenacia, la certezza che la strada era quella giusta daranno ragione all’enologo francese e: “Proprio quelli che avevano giudicato un atto barbaro il nostro modo di fare diventarono, a loro volta, barbari”.
Conoscenze importanti e viaggi in ogni parte del mondo hanno contribuito ad arricchire la valigia dell’esperienza di Rolland. Fino all’incontro con Robert Parker che ha consacrato entrambi, nelle rispettive professioni, a livello mondiale. Un’unione felice che nel cinico mondo del vino, non ha lasciato indifferenti.
Per un Robert Parker che incontri e che ti cambia la vita, può esserci anche un incrocio meno felice che, nel caso di Rolland, ha il nome di Jonathan Nossiter.
Nel 2004, il regista Statunitense, presenta al Festival di Cannes, “Mondovino” un docu-film che denuncia, tra l’altro, l’influenza del critico Robert Parker nell’imporre uno stile internazionale comune: Il vino secondo Parker e Rolland. Il film, girato in diverse nazioni (in Italia, in Toscana) dove hanno interessi sia Parker che Rolland ha un successo internazionale rilevante e Nossiter è applaudito per il coraggio avuto nello scardinare “il potere”. Un duro colpo per Rolland che aveva ospitato Nossiter, ufficialmente perché: “Desiderava seguirmi con la videocamera, mentre mi recavo dai miei clienti al fine di capire meglio il mio lavoro di consulente e le tecniche che preconizzavo”. Nelle pagine più intense del libro, Rolland racconta la sua versione, la manipolazione di Nossiter il quale, delle tante registrazioni per il suo film, ne sceglie solo tre, quelle in cui Rolland appare un tiranno con i suoi collaboratori. Un capitolo in cui l’emozione nel narrare eventi che hanno ferito l’enologo appare ancora evidente, sebbene l’autobiografia in francese uscì nel 2012, molti anni dopo l’affaire Nossiter.
L’ultima parte del libro è dedicata alle nazioni (tante) in cui il re dell’assemblage ha lasciato il segno con le sue collaborazioni (che, tutt’oggi, continuano): Stati Uniti; Argentina; Cile; India; Messico; Sud Africa; Brasile, solo per citarne alcuni. In tutte le aziende, Rolland ha incontrato figure interessate a crescere, alcuni giovani collaboratori hanno poi lavorato con lui e proseguono tutt’oggi. Ogni nazione ha lasciato un segno anche dal punto di vista umano o emotivo. E l’Italia? Sì, c’è anche il Bel Paese nel racconto di Rolland. Un’esperienza avvenuta negli anni ’90, in Toscana.
Ben più di un vademecum per professionisti del settore (o aspiranti tali), l’autobiografia di Michel Rolland è un libro consigliato non solo agli amanti del vino perché raccoglie gli appunti di una vita non banale. La storia di un uomo che ha vissuto. Rolland ha lavorato (avendo la pazienza di attendere il suo momento); viaggiato; ascoltato; imparato; incontrato le più diverse personalità del settore, lasciando, la sua firma nelle pagine dell’enologia moderna. Con buona pace dei suoi detrattori.