Credits: © Ph. Salvo Foti Enologo
La cantina è il cuore pulsante dell’azienda vitivinicola. In essa, si fondono la manualità degli operatori e il sapere dell’enologo. A loro supporto la tecnologia, elemento ormai irrinunciabile ma che, secondo alcuni, ha tolto la poesia di un lavoro che si perde nella notte dei tempi.
Chiediamo all’enologo Salvo Foti il suo pensiero sul tema.
Qual è il suo parere sull’affermazione: “Il vino non si fa più in vigna, ma solo in cantina”? Una frase fatta o nasconde un fondo di verità?
Dovrebbe essere, non un modo di dire, ma un modo rigoroso di fare. Se il vino si fa con l’uva, la prima attenzione, cura e impegno dovrebbe essere nel vigneto. Ma il vigneto è la parte più difficile, impegnativa, con molte variabili, spesso incontrollabili. La cosa paradossale è che, spesso, se facciamo un’analisi dei costi sostenuti per produrre una bottiglia di vino, l’incidenza del costo dell’uva è, incredibilmente basso, quando, in verità, dovrebbe essere tra i più alti: se ci riflettiamo, di una bottiglia di vino, l’unica cosa che immettiamo nel nostro corpo, alla fine è unicamente il vino, il resto è buttato via.
La tecnologia in cantina quanto ha migliorato e quanto spersonalizzato il lavoro dell’enologo?
Se consideriamo e concepiamo la tecnologia come uno strumento nelle nostre mani gestito dalla nostra mente, cultura ed etica, allora la tecnologia in cantina non può che aver migliorato la qualità e ottimizzato la produzione vitivinicola. Nel caso contrario, non è l’uomo o l’enologo a fare il vino ma la tecnologia con i suoi fedeli tecnologi.
Secondo la sua esperienza, a quale strumento tecnologico, oggi, è impossibile rinunciare?
Più che ad uno strumento tecnologico, direi che non si può assolutamente rinunciare alla conoscenza, alla esperienza e alla consapevolezza nel fare. Avendo un buon livello culturale tecnico-scientifico e rispetto dell’ambiente e dell’uomo, ognuno di noi potrà applicare, sostituire e innovare la tecnologia più adeguata alle proprie esigenze. In fondo, la tradizione non è altro che una innovazione tecnologica ben riuscita nel lunghissimo periodo.
Quali sono le principali criticità di una cantina e qual è il suo modus operandi per porvi rimedio?
Tra le priorità di una cantina deve esserci al primo posto l’igiene. Poi, organizzazione, ordine e poter contare su strumenti efficienti e adeguati. Il controllo capillare di tutte le fasi produttive, la scelta di collaboratori motivati e appassionati sono fondamentali.
Nel suo immaginario, come dovrebbe essere strutturata la sua cantina ideale? È riuscito a trovarla in qualche azienda?
Per me, sicuramente, la cantina ideale è una realtà familiare di piccole-medie dimensioni, in cui, veramente, i componenti della famiglia, padri e figli, sono coinvolti e artefici in tutte le fasi produttive: cioè capaci di “sporcarsi le mani”. Che lavorino insieme, e ogni giorno, con i propri collaboratori, ispirandoli, guidandoli e condividendo con tutti loro la “creazione” di un vino, così da produrre, non il vino dell’uomo, che è destinato a finire con esso, ma il vino degli uomini, della civiltà vitivinicola che sopravvive al singolo. I Vini Umani, come li definiamo noi. Ci sono molte di queste aziende, più di quanto si possa pensare. Molte sono poche conosciute perché, avendo queste aziende tutti i familiari coinvolti a lavorare nelle proprie vigne e cantine, hanno meno tempo da dedicare all’apparire in giro per il mondo o a fare solo marketing.