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Credits: Dario Parenti Enologo
L’obiettivo primario di un enologo è di riuscire a donare al titolare dell’azienda vitivinicola e, quindi, anche al consumatore finale, il “vino perfetto”, valorizzando e ottimizzando al meglio il frutto degli dei: le uve.
Il vino “perfetto” esiste veramente? Qualcuno ha definito il vino perfetto quello che incontra i favori dei produttori, altri quello dei consumatori. C’è chi, inoltre, sostiene che il vino perfetto è quello privo di difetti, eppure sappiamo che, talvolta, una piccola imperfezione può trasformarsi in un valore aggiunto, un esempio su tutti i vini “brettati”, amati e odiati, allo stesso tempo.
Aggiungendo un nuovo capitolo alla rubrica, che dà voce agli enologi, ci rivolgiamo alla fonte più autorevole per comprendere se il vino perfetto esiste e in che misura.
Chi, meglio di un enologo può conoscere la fatica e le molteplici variabili che riguardano la produzione del vino dalla vigna all’imbottigliamento. Eppure, spesso, i giudizi più spietati sul vino arrivano da chi degusta solo il prodotto finale senza aver assistito all’intero percorso produttivo. Per questo, solo un enologo può, realmente, sapere se esiste il vino perfetto e quando lo stesso può definirsi tale, secondo la sua esperienza.
Direi mai. Pura utopia immaginare un vino perfetto. Sia perché la valutazione della qualità vinicola è soggettiva sia perché gli aspetti su cui giace il concetto di qualità sono molteplici e non sempre misurabili fra loro.
C’è un difetto che teme particolarmente?
Lo squilibrio. Ciò significa avere la percezione di un vino che esprima smodatamente, e senza grazia, un aspetto che, se non fosse grossolanamente fuori scala rispetto altri aspetti sensoriali, potrebbe essere anche gradevole. Il primo esempio che mi passa dalla mente è quello di vini eccessivamente dominati da sentori del legno.
Quali sono le operazioni, o le strategie, che mette in atto per evitare che tale problema possa presentarsi?
Attraverso il monitoraggio costante di vini in affinamento, seguendone l’evoluzione, assicurandosi che il legno sia, effettivamente, instradato su un percorso di integrazione che proseguirà poi in bottiglia.
Un suo pensiero sui vini “brettati”: difettati a prescindere oppure un’esperienza interessante comunque?
Anche qui si tratta di una questione di equilibrio e addirittura, spesso, i Brettanomyces possono anche dare sentori gradevoli. Il problema è che la produzione di etilfenoli e guaiacoli da parte di questi lieviti può avere uno sviluppo incontrollato sia in cantina che in bottiglia: posto che la pulizia di cantina è la prima azione preventiva da mettere in campo contro questi potenziali difetti, gli strumenti principali su cui giocare restano filtrazione e gestione della solforosa. Ma considerato che le filtrazioni atte a eliminare i Brett depauperano al contempo i vini e che dobbiamo cercare di utilizzare meno solforosa possibile, come in un Gioco dell’Oca, si torna al punto di partenza: pulizia in cantina!