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“Ma che cosa si interpreta quando si interpreta un vino?” Questa è la domanda a cui prova a dare risposta Francesco Annibali nel saggio Il linguaggio del vino (Edizioni Ampelos), primo studio Italiano (e non solo) che racconta il vino dal punto di vista semiotico.
Lo studioso, laureato in Filosofia, giornalista enologico di formazione semiotica, pone al servizio del lettore (professionista e semplice appassionato) la sua lunga esperienza per provare a comprendere “l’intricatissimo” linguaggio del vino, come egli stesso sottolinea nell’introduzione.
Diviso in tre sezioni, con una importante bibliografia e interessante sitografia, il testo entra di diritto tra i volumi accademici di rilievo. Con un taglio narrativo scientifico, eppure al contempo, fruibile per lettori non professionisti, nella prima parte del testo Annibali si sofferma sul linguaggio della degustazione con i suoi rigidi codici, spesso incomprensibili ai neofiti. Un linguaggio che, seppure rimanda “a un lessico ampiamente basato sulla rideterminazione semantica di aggettivi di uso comune”, subisce “uno slittamento di significato” nel momento in cui tali aggettivi di uso comune, “vengono utilizzati per descrivere il vino“. Così, termini del linguaggio musicale, ingegneristici, pittorici, solo per citare alcuni dei numerosi elencati dall’autore, sono accolti nella lingua della degustazione. Un codice che è recepito in modo differente da parte di ciascun attore. Per l’enologo tale codice di comunicazione “serve a controllare la qualità del prodotto”; Per gli appassionati è un mezzo per conoscere e rappresentare emotivamente un dato territorio; per i giornalisti e gli assaggiatori ha uno scopo valutativo; per i commercianti promozionale; per i sommelier serve a trovare l’abbinamento più adeguato”.
Indubbiamente, anche il linguaggio del vino (unitamente a una comunicazione pubblicitaria efficace) ha contribuito a valorizzare un mondo che, agli occhi dei consumatori, gode di un certo prestigio. In tal senso, ad esempio, possedere nella propria cantina anche solo una bottiglia di pregio aiuta a rafforzare uno status sociale. “Quando una persone vuole una bottiglia di Sassicaia, non vuole solo il ǀSassicaiaǀ (…) ma il prestigio sociale a esso correlato o un senso di potenza”. L’autorevolezza acquisita dal lessico enologico è percepito dall’utente medio come un valore aggiunto del prodotto vino.
Nella seconda parte del libro Annibali concentra l’attenzione sulle “lingue del contesto” o “le cornici del vino”, come la confezione e le etichette (quello che per un libro è il “paratesto” di Genettiana memoria) che raccontano, comunicano con altrettanta potenza, influenzando gli acquisti, contribuendo, di certo, a rafforzare l’autorevolezza del prodotto.
Nell’interessante capitolo “A spasso nell’enosfera” l’autore affronta diverse tematiche dal linguaggio del vino biologico (“il settore dell’agroalimentare che, per abissale distacco, possiede il più efficace storytelling) al vino raccontato ai millenials che “parla loro di identità e nostalgia, luoghi unici e sconosciuti, necessità di un mondo ‘altro’, rispetto a questo tecnologico” ed altro.
Un testo davvero unico nel suo genere che racconta il mondo del vino da prospettive mai approcciate con la consapevolezza che: “Il vino è cultura in quanto è una forma di vita, è frutto di una storia e di una vita collettiva e insieme dà a tale vita una forma emblematica”.