Credits: Vittorio Festa Enologo
L’obiettivo primario di un enologo è di riuscire a donare al titolare dell’azienda vitivinicola e, quindi, anche al consumatore finale, il “vino perfetto”, valorizzando e ottimizzando al meglio il frutto degli dei: le uve.
Il vino “perfetto” esiste veramente? Qualcuno ha definito il vino perfetto quello che incontra i favori dei produttori, altri quello dei consumatori. C’è chi, inoltre, sostiene che il vino perfetto è quello privo di difetti, eppure sappiamo che, talvolta, una piccola imperfezione può trasformarsi in un valore aggiunto, un esempio su tutti i vini “brettati”, amati e odiati, allo stesso tempo.
Aggiungendo un nuovo capitolo alla rubrica, che dà voce agli enologi, ci rivolgiamo alla fonte più autorevole per comprendere se il vino perfetto esiste e in che misura.
Chi, meglio di un enologo può conoscere la fatica e le molteplici variabili che riguardano la produzione del vino dalla vigna all’imbottigliamento. Eppure, spesso, i giudizi più spietati sul vino arrivano da chi degusta solo il prodotto finale senza aver assistito all’intero percorso produttivo. Per questo, solo un enologo può, realmente, sapere se esiste il vino perfetto e quando lo stesso può definirsi tale, secondo la sua esperienza.
Oggi, il consumatore si limita giustamente a degustare dando un giudizio positivo o negativo senza tener conto di tutte le variabili che affronta il produttore su tutta la filiera e senza conoscere tutte le problematiche presenti in cantina e ne ha tutto il diritto avendo acquistato il vino.
In alcuni casi, egli si limita all’assaggio, senza tener conto del percorso della filiera dove c’è un lavoro atto dalla vigna alla bottiglia. Il vino è il risultato di un processo agricolo, legato alle condizioni climatiche e a tante variabili che determinano il prodotto finale. La capacità dell’enologo è di ottenere il vino migliore in base alle condizioni, all’uva e al clima.
Un grande vino è quello che ha tutti gli equilibri, sia a livello sensoriale che gustativo, e in questo equilibrio riusciamo a ritrovare gli elementi dai quali nasce. territorio e vitigno in alcuni casi.
C’è un difetto che teme particolarmente?
Attualmente, i difetti sono tutti risolvibili dal punto di vista chimico-fisico: visti i controlli e le tecnologie adottate. In bottiglia difficilmente si riscontrano difetti, a parte le problematiche legate al tappo o a una cattiva conservazione della stessa. L’aspetto più preoccupante è, a mio avviso, il proporre vini che hanno denominazioni e vitigni o uve legate a un territorio e trovarli totalmente irriconoscibili rispetto al territorio stesso e alla materia prima.
Quali sono le operazioni, o le strategie, che mette in atto per evitare che tale problema possa presentarsi?
Oggi, grazie al un monitoraggio continuo, riusciamo a prevenire le problematiche. Ho la fortuna di avere un mio laboratorio (Centro Tecnico Enologico, sito in Pescara, laboratorio accreditato Accredia) dove iniziamo il monitoraggio già dall’uva e, quindi ,si fa un azione preventiva che, a mio avviso, è la cura migliore in quanto, se si verifica un problema, significa che c’è stato un errore o un controllo poco attento delle varie fasi. Poi ci possono anche errori accidentali, in tal caso è più complicato prevenirli.
Un suo pensiero sui vini “brettati”: difettati a prescindere oppure un’esperienza interessante comunque?
Il brettanomyces è un lievito appartenente alla famiglia delle cryptococcaceae; è uno tra i microrganismi più diffusi nelle bevande alcoliche ed è tra i primi responsabili dell’origine di odori e aromi sgradevoli nel vino come: sella di cavallo, sudore, straccio bagnato. Caratteristiche molto impattanti che vanno a declassare il prodotto qualitativamente, a sfavore dell’esaltazione del varietale. Inoltre, questo lievito non è unicamente circoscritto al profilo sensoriale, ma al fatto che è un microrganismo che “non viaggia da solo” e porta con sé dei sottoprodotti come ammine biogene e acidità volatile che possono incidere sulla salubrità del prodotto finale.
Il brettanomyces è presente già in vigna e, dalla vigna alla cantina il passaggio è breve e la sua elevata resistenza all’alcool lo rende in grado di perdurare fino alla fase di affinamento se non adeguatamente controllato. La sua diffusione dipende dal tipo di produzioni, quelle artigianali sono le più a rischio e, soprattutto, dipende dalle condizioni igieniche in cui si lavora in quanto questo microrganismo può colonizzare tutte le superfici in modo particolare il legno, dove il lievito si può annidare in profondità. In passato era considerato un aspetto caratteristico in alcuni vini, un aroma varietale. Personalmente, non amo questi vini e, al massimo, potrei considerarlo per un assaggio ma resta un vino difettato.