Credits: Dora Marchi Enologa
L’obiettivo primario di un enologo è di riuscire a donare al titolare dell’azienda vitivinicola e, quindi, anche al consumatore finale, il “vino perfetto”, valorizzando e ottimizzando al meglio il frutto degli dei: le uve.
Il vino “perfetto” esiste veramente? Qualcuno ha definito il vino perfetto quello che incontra i favori dei produttori, altri quello dei consumatori. C’è chi, inoltre, sostiene che il vino perfetto è quello privo di difetti, eppure sappiamo che, talvolta, una piccola imperfezione può trasformarsi in un valore aggiunto, un esempio su tutti i vini “brettati”, amati e odiati, allo stesso tempo.
Aggiungendo un nuovo capitolo alla rubrica, che dà voce agli enologi, ci rivolgiamo alla fonte più autorevole per comprendere se il vino perfetto esiste e in che misura.
Chi, meglio di un enologo può conoscere la fatica e le molteplici variabili che riguardano la produzione del vino dalla vigna all’imbottigliamento. Eppure, spesso, i giudizi più spietati sul vino arrivano da chi degusta solo il prodotto finale senza conoscere l’evoluzione dell’intero percorso produttivo. Per questo, solo un enologo può, oggettivamente, sapere se esiste il vino perfetto. Quando un vino può definirsi tale, secondo la sua esperienza?
Letteralmente, quando un vino è privo di difetti si potrebbe definire “perfetto”. Tuttavia, questo non è sufficiente affinché esperti, critici e consumatori riconoscano un vino come “grande vino”.
Paradossalmente, un vino giudicato “troppo perfetto”, talvolta, viene percepito come privo di personalità.
Sebbene il giudizio di un vino sia, spesso, soggettivo e dipenda dal background professionale, culturale e umano di chi lo assaggia, la prima regola è l’equilibrio: ciò che si sente al naso deve essere riconfermato dal gusto.
A livello olfattivo, le soglie non sono univoche: la percezione di profumi e difetti è personale e, pertanto, può risultare diversa a seconda della persona. Il senso del gusto, invece, è maggiormente oggettivo e la valutazione di struttura, lunghezza e spessore risulta più simile tra i degustatori.
A livello tecnico, la prima qualità di un vino è il colore. Più precisamente, è la luminosità la caratteristica che muove le nostre scelte, mentre i colori cupi, sovente, ci inducono a percepire note olfattive negative (di ossidazione, di vecchio e di mancanza di freschezza).
Il profumo deve essere fresco, avvolgente, invitante e sorprendente. Attraverso il profumo dobbiamo poter cogliere varietà, territorio ed emozionalità dell’annata.
Il gusto, poi, deve riconfermare il profumo, attraverso lo spessore, la struttura, la lunghezza, la persistenza e l’eleganza.
Ho avuto la fortuna di bere vini di oltre 30/40 anni e di percepirli giovani e freschi. Vini che, malgrado la loro longevità, continuano a modificarsi nel calice, riservando curiosità e invogliando ad assaporarli.
Vini che ricorderò per sempre per la piacevole sensazione fisica trasmessa e, con loro, il luogo, il momento, le atmosfere e le persone con le quali li ho bevuti.
Questi sono i vini perfetti: quelli che creano emozione e curiosità, quelli che non si dimenticano e che diventeranno icona nell’immaginario.
C’è un difetto che teme particolarmente?
Due sono i difetti che considero imperdonabili: secchezza, asciuttezza in bocca e l’amaro. Desiderare di bere un bicchiere d’acqua dopo un calice di vino non è certamente una buona cosa.
Purtroppo, può capitare di assaggiare vini privi di difetti olfattivi ma che, poi, al gusto, o sul finale, rilevano quella secchezza che non invoglia a berne ancora.
Alle volte, questo difetto si riscontra anche nei vini blasonati ma, pur in presenza di sensazioni molto simili, le cause possono essere diverse.
Infatti, può dipendere da una mancanza di maturità fenolica delle uve, da un eccesso di tannini e/o da tannini non ben polimerizzati. Inoltre, può, altresì, dipendere da acidità volatili elevate e non percepibili all’olfatto, o essere imputabile a un eccesso di ossigeno nelle fasi finali di affinamento e/o di imbottigliamento.
Tra le cause di queste sensazioni negative, infine, ritroviamo anche i cambiamenti climatici. Uve stressate e disidratate, spesso, non hanno un corredo polifenolico al giusto livello di maturità e presentano tannini secchi e asciutti.
Altro difetto, non di minor considerazione, è l’amaro. Le cause, anche in questo caso, possono derivare da fattori diversi. Nei vini rossi, la sensazione di amaro è sovente riconducibile alla quantità e allo stato di polimerizzazione/maturazione dei composti polifenolici. Nei vini bianchi, invece, può essere dovuta dalla presenza di catechine e non solo.
Tuttavia, la sensibilità all’amaro è molto soggettiva; in alcune persone risulta particolarmente accentuata per via, si ipotizza, delle caratteristiche genetiche. Nell’uomo ci sono 25 distinti recettori dell’amaro, per la maggior parte localizzati sulla superficie delle cellule delle papille gustative.
Nei millenni, la capacità di riconoscere l’amaro ha preservato l’uomo dall’ingestione di cibi e/o bevande contenenti principi velenosi.
Quali sono le operazioni, o le strategie, che mette in atto per evitare che tale problema possa presentarsi? O, nelle peggiori delle ipotesi, come “addomestica” tale inconveniente?
La maggiore efficacia la si ha nell’azione preventiva.
Per evitare problemi di secchezza, di amaro e di astringenza, è importante, anche a livello fenolico, raccogliere uve mature. La durata e le modalità di vinificazione-affinamento, invece, vanno annoverate nella strategia. In ultimo, ma non per questo meno importante, in tutte le fasi di lavorazione e affinamento dei vini occorre prestare molta attenzione al corretto rapporto con l’ossigeno.
Sull’eliminazione e/o il camuffamento/mitigazione di tali difetti, nulla possono le chiarifiche con sostanze proteiche (gelatine, albumine, ecc.) sia di origine animale sia vegetale e, neppure, l’aggiunta di dolce o di altre sostanze. La filosofia di lavoro Enosis bandisce, in forma categorica, la fase di chiarifica con sostanze proteiche.
Un suo pensiero sui vini “brettati”: difettati a prescindere oppure un’esperienza interessante da valutare?
Personalmente, sono molto sensibile alla presenza degli etilfenoli. La mia soglia olfattiva è molto bassa: li percepisco a livelli, anche, minimi e mi arrecano fastidio. I vini “brettati”, per me, sono da pollice verso.
Il Brettanomyces è un lievito inquinante che, attraverso i suoi enzimi, trasforma gli acidi idrossicinnamici in vinilfenoli che, a loro volta, vengono trasformati in etilfenoli.
Il 4-etil-fenolo ha odore di sudore di cavallo e il 4-etil-guaiacolo di farmaceutico e di cerotto.
Entrambi, hanno soglie olfattive diverse: il 4-etil-guaiacolo ha una soglia molto bassa, ma occorre tener presente che la soglia olfattiva dipende, prevalentemente, dalla complessità del vino e dalle nostre sensibilità individuali. Ci sono, poi, grandi vini con livelli elevati di etilfenoli, ma che rimangono integri e privi di odori sgradevoli, come ad esempio i grandi Barolo o Bordeaux; altri, invece, vengono deturpati dalla presenza di queste sostanze. Inoltre, la presenza di questi odori anomali, spesso, nasconde e adombra i profumi fruttati, impedendo al vino di esprimere le sue caratteristiche più intrinseche. Da sapere, infine, che il Brettanomyces metabolizza anche piccole quantità di zucchero e produce acidità volatile.
Non sono d’accordo nell’accettare odori e gusti anomali solo perché in presenza di vini “naturali”, biologico o biodinamico. Il vino deve sempre dare sensazioni positive sia all’olfatto sia al gusto.