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Credits: Paolo Peira Enologo
Se nella seconda metà dell’Ottocento la viticoltura europea ha dovuto affrontare il problema della fillossera, oggi, e nei prossimi anni, dovrà confrontarsi con un nuovo ostacolo: il cambiamento climatico.
Un problema, che necessita di politiche comuni a livello globale.
Per comprendere come, il settore vitivinicolo nazionale stia analizzando e valutando i primi importanti segnali di mutamento climatico, abbiamo chiesto il parere all’enologo Paolo Peira, che ci illustra la sua esperienza.
Il cambiamento climatico ha alterato in modo significativo importanti aree del nostro pianeta. Tali cambiamenti, secondo la sua esperienza professionale, si stanno già verificando anche in Italia?
È fuori di dubbio che il riscaldamento climatico stia da anni condizionando anche la viticoltura in Italia. Le concentrazioni zuccherine delle uve degli ultimi anni hanno visto un aumento sostanziale rispetto al passato e, soprattutto, le acidità si sono notevolmente abbassate con le conseguenze microbiologiche che ben conosciamo in cantina. Occorre, quindi, comprendere tali fenomeni per intraprendere le strategie più opportune.
Vi sono interventi, anche in via preventiva, che è conveniente adottare per iniziare a compensare tali mutamenti del clima?
Io credo che la strategia da adottare per il futuro, anche se a lungo termine, sarà quella di progettare i nuovi vigneti con varietà dal ciclo medio lungo, varietà tardive così da superare i mesi più caldi mentre la vite è ancora in uno stadio meno delicato. Anche i porta innesti dovranno essere differenti da quelli che abbiamo utilizzato negli ultimi vent’anni, spesso troppo poco vigorosi.
In alcuni paesi del Nord Europa (Danimarca e Svezia), seppur in minime quantità, hanno iniziato a produrre vino. Studi ipotizzano che tra 50 anni il clima di questi Paesi sarà a livello della Francia del Nord. Cosa pensa di tali studi e, a suo parere, potranno diventare le nuove frontiere del vino in Europa?
È obiettivamente vero, anche il sud dell’Inghilterra (Kent e Sussex) che fino a pochi anni fa produceva esclusivamente vini spumanti, attualmente, si sta spostando su varietà tardive, vedi il Cabernet Sauvignon, sebbene con risultati altalenanti.
In quanto alla realtà italiana, è a conoscenza della programmazione o della realizzazione di nuovi impianti ad altezze sul livello del mare sino a “ieri” impensabili? Come ipotizza questo cambiamento e quali saranno le difficoltà di questo “riadattamento” enologico?
La vite è una pianta rustica, versatile, che si adatta a quasi tutti gli ambienti, nelle opportune latitudini. Con il riscaldamento globale, i vigneti più a rischio saranno proprio quelli costieri, talvolta coltivati su suoli poveri. Ovviamente, sarà impensabile una coltivazione di questo tipo senza ricorrere all’irrigazione.
Semmai, il vero problema della delocalizzazione dei vigneti sarà quello dell’eventuale modifica degli areali di produzione dei vini a denominazione di origine.