Credits: Gianni Menotti Enologo
Se nella seconda metà dell’Ottocento la viticoltura europea ha dovuto affrontare il problema della fillossera, oggi, e nei prossimi anni, dovrà confrontarsi con un nuovo ostacolo: il cambiamento climatico.
Un problema, che necessita di politiche comuni a livello globale.
Per comprendere come, il settore vitivinicolo nazionale stia analizzando e valutando i primi importanti segnali di mutamento climatico, abbiamo chiesto il parere all’enologo Gianni Menotti, che ci illustra la sua esperienza.
Il cambiamento climatico ha alterato in modo significativo importanti aree del nostro pianeta. Tali cambiamenti, secondo la sua esperienza professionale, si stanno già verificando anche in Italia?
Purtroppo sì. Come già sappiamo, si stanno sempre più verificando momenti di grande preoccupazione per eventi atmosferici di grande impatto per la viticoltura. Mi riferisco alla siccità, sempre più diffusa durante il periodo estivo, alle bombe d’acqua, alle gelate primaverili, legate alla precocità di apertura delle gemme e, soprattutto, alla grandine che colpisce con frequenza diversi areali vitivinicoli.
Vi sono interventi, anche in via preventiva, che è conveniente adottare per iniziare a compensare tali mutamenti del clima?
Purtroppo, la natura avrà sempre il sopravvento sull’uomo anche se possiamo limitare i danni con tecniche viticole o agronomiche specifiche, con macchinari dedicati o con particolari protezioni. Per esempio, scegliendo per certi areali le varietà di uva più adatte al clima di quella zona e, all’interno delle stesse, cloni o portinnesti specifici, tecniche di potatura più versatili, concimazioni particolari, sistemi di irrigazione con miglior risparmio d’ acqua, gestione del terreno che varia in funzione delle stagioni e così via.
In alcuni paesi del Nord Europa (Danimarca e Svezia), seppur in minime quantità, hanno iniziato a produrre vino. Studi ipotizzano che tra 50 anni il clima di questi Paesi sarà a livello della Francia del Nord. Cosa pensa di tali studi e, a suo parere, potranno diventare le nuove frontiere del vino in Europa?
Sulla possibilità che in certi territori più nordici si possa produrre uva può accadere ma non dimentichiamo che, comunque, le stagioni ci saranno sempre e se l’inverno è troppo freddo la vite non potrà vivere così come l’inclinazione del sole che diventa limitante nei paesi nordici, specialmente durante la maturazione. Inoltre, il suolo, forse, non è cosi dedicato alla viticoltura di qualità. Certe varietà, comunque, ce la potrebbero fare ma, ripeto, la qualità ottenuta sarà sempre limitata.
In quanto alla realtà italiana, è a conoscenza della programmazione o della realizzazione di nuovi impianti ad altezze sul livello del mare sino a “ieri” impensabili? Come ipotizza questo cambiamento e quali saranno le difficoltà di questo “riadattamento” enologico?
Oltre a quanto già esposto, la viticoltura di altitudine ha, inoltre, grandi limiti che possono essere l’economicità produttiva legata alle pendenze, alla meccanizzazione ma, soprattutto, alle differenti componenti agronomiche, rispetto alle latitudini tradizionali. Però, riconosco, certi territori potrebbero dare ottimi risultati e io, per esempio, sto lavorando per un’azienda situata a 800 mt di altitudine, con caratteristiche pedoclimatiche interessantissime e con una qualità di prodotto davvero eccezionale. Quindi tutto è possibile!