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Credits: Dario Parenti Enologo
Se nella seconda metà dell’Ottocento la viticoltura europea ha dovuto affrontare il problema della fillossera, oggi, e nei prossimi anni, dovrà confrontarsi con un nuovo ostacolo: il cambiamento climatico.
Un problema, che necessita di politiche comuni a livello globale.
Per comprendere come, il settore vitivinicolo nazionale stia analizzando e valutando i primi importanti segnali di mutamento climatico, abbiamo chiesto il parere all’enologo Dario Parenti, che ci illustra la sua esperienza.
Il cambiamento climatico ha alterato in modo significativo importanti aree del nostro pianeta. Tali cambiamenti, secondo la sua esperienza professionale, si stanno già verificando anche in Italia?
Eccome se si stanno verificando! La frequenza di eventi estremi come siccità, “bombe d’acqua” e gelate tardive a primavera sono platealmente incrementate negli ultimi anni. Spesso, come in questa difficile annata 2021, più eventi nefasti si presentano nel corso della fase vegetativa.
Vi sono interventi, anche in via preventiva, che è conveniente adottare per iniziare a compensare tali mutamenti del clima?
Sicuramente, sono molti gli interventi da poter attuare, a diversi livelli di impegno e costi. Sulla pianta si pone sempre più attenzione al momento della potatura della vite, in rapporto alla potenziale esposizione del vigneto a gelate tardive. Si cerca di proteggere i grappoli più esposti e, nei nuovi impianti, si cerca di scegliere i cloni più adatti alle diverse situazioni estreme incontrabili.
Per quanto riguarda il terreno la sua gestione è fondamentale e l’irrigazione di soccorso è una carta sempre più utile da giocare.
In alcuni paesi del Nord Europa (Danimarca e Svezia), seppur in minime quantità, hanno iniziato a produrre vino. Studi ipotizzano che tra 50 anni il clima di questi Paesi sarà a livello della Francia del Nord. Cosa pensa di tali studi e, a suo parere, potranno diventare le nuove frontiere del vino in Europa?
Non è affatto da escludersi, purtroppo: è una cosa che mette una tristezza incredibile. Viene messo in discussione molto di quegli archetipi che da sempre consideriamo la forza del “Vecchio Mondo” (Francia, Italia, Spagna) rimescolando equilibri fra suolo, clima e, soprattutto, tradizioni che resistono da centinaia di anni. Un colpo, soprattutto, alla nostra identità culturale e all’agroalimentare: si minano differenze regionali e locali legate da un continuum profondamente “Italiano”, una delle basi della nostra idea di Paese e collettività sociale.
In quanto alla realtà italiana, è a conoscenza della programmazione o della realizzazione di nuovi impianti ad altezze sul livello del mare sino a “ieri” impensabili? Come ipotizza questo cambiamento e quali saranno le difficoltà di questo “riadattamento” enologico?
In Toscana. sta crescendo moltissimo l’attenzione verso aree più alte e più interne come Mugello e Casentino, zone con altitudini più elevate e con escursioni termiche ormai più rare in zone dove un tempo erano più frequenti. Fortunatamente, al contrario di zone nordiche come Danimarca o Svezia, qua una tradizione enoviticola c’è sempre comunque stata, seppure a livelli qualitativi un tempo mediamente inferiori: sicuramente non si tratta di una partire da zero ma di svolgere accorgimenti rispetto alle scelte del passato.