Credits: Luciano Bandini Enologo
Se nella seconda metà dell’Ottocento la viticoltura europea ha dovuto affrontare il problema della fillossera, oggi, e nei prossimi anni, dovrà confrontarsi con un nuovo ostacolo: il cambiamento climatico.
Un problema, che necessita di politiche comuni a livello globale.
Per comprendere come, il settore vitivinicolo nazionale stia analizzando e valutando i primi importanti segnali di mutamento climatico, abbiamo chiesto il parere all’enologo Luciano Bandini, che ci illustra la sua esperienza.
Il cambiamento climatico ha alterato in modo significativo importanti aree del nostro pianeta. Tali cambiamenti, secondo la sua esperienza professionale, si stanno già verificando anche in Italia?
Si, ovviamente facciamo parte di un unico sistema, lo scioglimento dei ghiacciai, la rarefazione dell’ozono, l’innalzamento della temperatura media, sono fenomeni che coinvolgono il mondo intero. Anche in Italia sono solo un ricordo i rigidi inverni di una volta, mentre sono sempre più frequenti le estati siccitose.
I lunghi periodi di siccità, una volta, si concentravano, mediamente, nel periodo tra metà Giugno e metà Agosto, oggi il periodo si è esteso fino a metà Settembre. Spesso, stavamo in apprensione più per le eccessive piogge di Settembre che per le eccessive temperature.
Vi sono interventi, anche in via preventiva, che è conveniente adottare per iniziare a compensare tali mutamenti del clima?
Stiamo già adottando delle misure che permettono alle viti di sopportare meglio gli eccessi climatici. L’adozione di portinnesti più resistenti alla siccità per esempio. L’utilizzo del caolino, di concimazioni e sovesci specifici. Come anche una gestione oculata della parete vegetativa e del terreno. Ma, soprattutto, bisogna evitare di fare vigneti in luoghi non adatti.
In alcuni paesi del Nord Europa (Danimarca e Svezia), seppur in minime quantità, hanno iniziato a produrre vino. Studi ipotizzano che tra 50 anni il clima di questi Paesi sarà a livello della Francia del Nord. Cosa pensa di tali studi e, a suo parere, potranno diventare le nuove frontiere del vino in Europa?
Ci può stare che adesso, a certe latitudini, si riescano a produrre vini dove prima non era possibile, o con caratteristiche molto diverse da 40 anni fa, ma che possano diventare le nuove frontiere del vino, sinceramente, mi pare un po’ azzardato. Comunque, data la mia età, sarei felice di poter verificare personalmente tra 50 anni se mi sto sbagliando.
In quanto alla realtà italiana, è a conoscenza della programmazione o della realizzazione di nuovi impianti ad altezze sul livello del mare sino a “ieri” impensabili? Come ipotizza questo cambiamento e quali saranno le difficoltà di questo “riadattamento” enologico?
Senza dubbio, le zone costiere sono tra quelle che soffrono maggiormente la siccità, l’utilizzo dell’irrigazione di soccorso, a volte, può salvare un raccolto. Certamente, anche un sistema di allevamento meno espanso, come l’alberello, può essere più idoneo, come anche l’utilizzo, dove possibile, di vitigni meno sensibili alla siccità.
I cambiamenti li stiamo già vedendo, il problema oggi è l’eccesso di contenuto di zuccheri nelle uve, a fronte di una adeguata maturazione fenolica, mentre prima il problema era la carenza di contenuto zuccherino.
Devo, però, sottolineare che questo mutamento non è dovuto solo al cambiamento climatico, ma anche alla diversa impostazione dei vigneti piantati negli ultimi 30 anni, e alla migliore selezione clonale.
La vite è una pianta talmente generosa che si adatta molto all’ambiente in cui vive, dobbiamo, però, impostare i nuovi vigneti in funzione del cambiamento climatico che stiamo vivendo.