Credits: Vincenza Folgheretti Enologa
L’obiettivo primario di un enologo è di riuscire a donare al titolare dell’azienda vitivinicola e, quindi, anche al consumatore finale, il “vino perfetto”, valorizzando e ottimizzando al meglio il frutto degli dei: le uve.
Il vino “perfetto” esiste veramente? Qualcuno ha definito il vino perfetto quello che incontra i favori dei produttori, altri quello dei consumatori. C’è chi, inoltre, sostiene che il vino perfetto è quello privo di difetti, eppure sappiamo che, talvolta, una piccola imperfezione può trasformarsi in un valore aggiunto, un esempio su tutti i vini “brettati”, amati e odiati, allo stesso tempo.
Aggiungendo un nuovo capitolo alla rubrica che dà voce agli enologi, ci rivolgiamo alla fonte più autorevole per comprendere se il vino perfetto esiste e in che misura.
Chi, meglio di un enologo può conoscere la fatica e le molteplici variabili che riguardano la produzione del vino dalla vigna all’imbottigliamento. Eppure, spesso, i giudizi più spietati sul vino arrivano da chi degusta solo il prodotto finale senza conoscere l’evoluzione dell’intero percorso produttivo. Per questo, solo un enologo può, oggettivamente, sapere se esiste il vino perfetto. Quando un vino può definirsi tale, secondo la sua esperienza.
“Perfetto” in funzione di cosa? Non esiste un vino perfetto in termini assoluti. Un vino può essere perfetto per un determinato mercato, per un determinato target, per un determinato territorio, per una determinata azienda. La perfezione credo sia la cosa più relativa che possa esserci e quando si parla di vino, questa relatività , diventa ancora più ampia.
Sicuramente, importante rimane conoscere molto bene il prodotto e il territorio dove è nato e tutto ciò che c’è dietro quel calice di vino prima di dare giudizi a volte troppo estremi.
C’è un difetto che teme particolarmente?
Tutti e nessuno. Le conoscenze che abbiamo oggi ci consentono di poter lavorare in modo ottimale, riducendo al minimo il rischio di difetti che, spesso, altro non sono che il risultato di inesperienza, leggerezza, disattenzione e, soprattutto, scarsa cura.
Quali sono le operazioni, o le strategie, che mette in atto per evitare che tale problema possa presentarsi? O, nelle peggiori delle ipotesi, come “addomestica” tale inconveniente?
Inutile dire che bisogna sempre partire da un’uva sana e perfettamente matura, questa è la conditio sine qua non per ridurre al minimo ogni rischio. Non dobbiamo lavorare pensando che se c’è un problema si risolve, bisogna lavorare affinché il problema non si presenti mai. E, se proprio dovesse presentarsi, abbiamo tutta l’esperienza e la conoscenza tecnico-scientifica per poterlo risolvere.
Un suo pensiero sui vini “brettati”: difettati a prescindere oppure un’esperienza interessante da valutare?
Ritengo che bisogna fare molta attenzione quando si parla di “vini brettati”. Spesso si considerano brettati anche vini che il Brettanomyces non lo hanno mai neanche avuto (con provato riscontro in laboratorio). Ci sono varietà che per loro natura, hanno la tendenza a sviluppare fenoli volatili e non necessariamente per passaggio di Brettamomyces.
Primo aspetto fondamentale quando si degusta un vino è capire proprio la natura dei fenoli, qualora questi dovessero essere avvertiti, difetto o caratteristica? Ovvio che quando si parla di difetto la situazione cambia radicalmente. I difetti, soprattutto quando questi sono marcati, tendono a snaturare completamente il vino, privandoli della propria identità. Assolutamente da evitare.