The Wolf Post, supported by a Cultural Association, offers a professional service with free access, without subscription.
For this reason, a donation would also be a sign of appreciation for our work.
Credits: Luca Cantelli Enologo
L’obiettivo primario di un enologo è di riuscire a donare al titolare dell’azienda vitivinicola e, quindi, anche al consumatore finale, il “vino perfetto”, valorizzando e ottimizzando al meglio il frutto degli dei: le uve.
Il vino “perfetto” esiste veramente? Qualcuno ha definito il vino perfetto quello che incontra i favori dei produttori, altri quello dei consumatori. C’è chi, inoltre, sostiene che il vino perfetto è quello privo di difetti, eppure sappiamo che, talvolta, una piccola imperfezione può trasformarsi in un valore aggiunto, un esempio su tutti i vini “Brettati”, amati e odiati, allo stesso tempo.
Aggiungendo un nuovo capitolo alla rubrica che dà voce agli enologi, ci rivolgiamo alla fonte più autorevole per comprendere se il vino perfetto esiste e in che misura.
Chi, meglio di un enologo può conoscere la fatica e le molteplici variabili che riguardano la produzione del vino dalla vigna all’imbottigliamento. Eppure, spesso, i giudizi più spietati sul vino arrivano da chi degusta solo il prodotto finale senza aver assistito all’intero percorso produttivo. Per questo, solo un enologo può, realmente, sapere se esiste il vino perfetto e quando lo stesso può definirsi tale, secondo la sua esperienza.
Credo che per un enologo la sinergia tra vitigno, territorio, la passione e le strategie utilizzate per produrlo, possano rendere un vino perfetto; la non standardizzazione e l’assenza di difetti sicuramente acuiscono ciò. Purtroppo, chi degusta soltanto il prodotto finale, non conoscendo la fatica e tutte le variabili produttive, ha una visione parziale di quel vino.
C’è un difetto che teme particolarmente?
Direi che alcuni sono i difetti che possono crearmi disagio: ossidazione, brettanomyces e deviazioni sensoriali causate dal sughero di bassa qualità. Non mi riferisco al gusto di tappo causato dagli anisoli (tca, tba,…), che è facilmente riconoscibile e sempre meno presente, ma alla moltitudine di possibili deviazioni aromatiche che il sughero può trasferire al vino (circa 60 possibili interferenze), difficilmente identificabili anche dai consumatori esperti che possono far pensare ad una bassa qualità del vino, quando invece il “responsabile” è il tappo.
Quali sono le operazioni, o le strategie, che mette in atto per evitare che tale problema possa presentarsi?
Visite periodiche nelle cantine, assaggi continui, scelta delle vinificazioni personalizzate da uva a uva, pulizia ed igiene della cantina sono strategie fondamentali per evitare difetti. La deviazione sensoriale causata dal sughero di bassa qualità può essere gestita e contenuta affidandosi ai pochi veri produttori di sughero in contatto con centri universitari e di ricerca che possano garantire le più moderne tecniche di raccolta, stoccaggio, sanificazione e lavorazione del sughero e che abbiano la completa tracciabilità dalla foresta al prodotto finito, come accade per i vini di alta qualità.
Un suo pensiero sui vini “Brettati”: difettati a prescindere oppure un’esperienza interessante comunque?
I vini “Brettati” sono difettosi e la percezione del difetto dipende dalla concentrazione delle sostanze responsabili e varia da vino a vino. Altresì la soglia di percezione è soggettiva e la sensibilità dei consumatori non corrisponde a quella degli enologi, molti infatti lo considerano come un carattere di territorio, ma così non è. Igiene in cantina e strategie di controllo microbico, con l’ausilio di lieviti antagonisti come la Metschnikowia pulcherrima, concorrono all’eliminazione di questo problema in cantina e sulle uve.