La Food Valley più nota al mondo si trova in Italia ed è un vanto per il Bel Paese che della cultura enogastronomica ha sempre fatto una filosofia di vita.
La capitale di questo tesoro prezioso è Parma, dichiarata nel 2015 dall’UNESCO “Città creativa della gastronomia”, e la sua provincia, dove si concentrano numerose eccellenze enogastronomiche dalla storia millenaria, a cominciare dal Parmigiano Reggiano. Le prime testimonianze del formaggio più noto al mondo risalgono all’epoca medioevale a opera dei monaci Benedettini. Forse, non tutti sanno che nell’Ottocento Parma era già sede della più potente industria alimentare di trasformazione del pomodoro e che, alla fine di quel secolo, Barilla muoveva i primi passi nel mondo agroalimentare con un piccola panetteria.
In un contesto così ricco di storia e tradizione i Musei del cibo di Parma raccolgono il meglio della cultura locale sul tema, offrendo al visitatore un’esperienza culturale e sensoriale di rara unicità.
Scopriamo di più dalle parole di Giancarlo Gonizzi, Coordinatore dei Musei del Cibo di Parma
©I musei del Cibo- Parma
Quale valore aggiunto rappresentano i Musei del Cibo per la città di Parma e per l’Italia tutta in termini culturali e di richiamo turistico anche internazionale?
Il cibo è, da sempre, un elemento fortemente identitario e ogni popolo si riconosce in quello che mangia. La pasta, il pomodoro, il vino, il Parmigiano, i salumi ci identificano chiaramente, ci inseriscono nel grande alveo della Dieta Mediterranea e raccontano una cultura millenaria che ha saputo trarre il meglio dal territorio, senza impoverirlo e rispettandolo. Il circuito dei Musei del Cibo (oggi sette sedi espositive, il prossimo anno otto) visitato, prima della pandemia, da 30.000 persone l’anno, racconta la cultura che generazioni di uomini e donne hanno saputo costruire, a partire da pochi semplici elementi. I Musei raccontano il processo di trasformazione delle materie prime in prodotto finito, ci fanno comprendere le nostre radici e tracciano una strada di sostenibilità davanti a noi facendoci conoscere e amare ciò che mangiamo.
Quando e come è nata l’idea di creare un vero e proprio polo museale nella Food Valley per eccellenza d’Italia?
A partire dal 2000, l’Amministrazione provinciale di Parma, per valorizzare il comparto agroalimentare di Parma, varò i progetti della Scuola Internazionale di Cucina (e nacque Alma), delle strade dei vini e dei sapori (e Parma ne ha oggi tre, mentre le altre province emiliane ne contano una sola ciascuna) e il progetto dei Musei del Cibo, distribuito nel territorio (perché è dal territorio che nascono i prodotti) su più sedi, collegate da una ideale “via del gusto” che dal Po giunge fino agli Appennini.
La tradizione secolare dei prodotti di eccellenza e della buona tavola non si “vedeva”: i turisti, oltre al ristorante, non avevano un luogo dove la cultura del cibo si potesse manifestare. Ecco perché nacquero, a tappe successive, ben sette musei dedicati a: Parmigiano Reggiano, Pasta, Pomodoro, Vino dei colli di Parma, Salame Felino, Prosciutto di Parma e Culatello (e fra breve Fungo Porcino).
Cosa può ammirare l’utente che decide di visitare il Museo del Vino?
Come in tutti i Musei del Cibo, il filo conduttore è la trasformazione. Qui, come l’uva diventa vino ma, profondamente, legata al nostro territorio e alle sue storie, per differenziarsi dalle decine di musei del vino già esistenti in Italia. Così, la prima sala ci fa incontrare il vino all’epoca della conquista romana della Pianura Padana e della fondazione di Parma, con reperti archeologici provenienti da Parma, Sala Baganza e Fidenza e la nascita del modo “moderno” di bere il vino, schietto e nei bicchieri.
La seconda sala ci racconta le storie della vite nei secoli; la terza mostra gli attrezzi della cantina, mentre la suggestiva ghiacciaia farnesiana ipogea, ci immerge nei miti del vino, dalla preistoria ai nostri giorni. La sala delle botti ci mostra tutto quanto “ruota intorno al vino”: botti, bottiglie (con una raccolta pregevole di attrezzi antichi da vetraio per produrre le bottiglie), tappi, cavatappi, etichette, per concludersi con uno spazio dedicato ai vini del Parmense e ai suoi produttori.
Quanto la visita del Museo del Vino è strettamente legata a quella delle altre proposte e quanto, al contrario, riesce ad avere una sua indipendenza, con utenti che scelgono solo questa esperienza?
Ognuno dei Musei del Cibo racconta storie che si intrecciano con il territorio e con gli altri prodotti. Così i maiali si incontrano anche al Museo del Parmigiano e al Museo del Pomodoro; al Museo della Pasta si parla di pomodoro; al Museo del Vino si parla degli altri prodotti. Ogni museo è, comunque, visitabile con profitto anche senza gli altri e riesce a spiegare in maniera profonda la propria filiera. La forza del circuito è nel territorio e la visita di più sedi museali favorisce una più ampia comprensione dei fenomeni e delle lavorazioni. Il fatto stesso che si registrino accessi assai diversi fra i vari musei, ci fa comprendere come l’appeal di alcuni prodotti sia in grado di generare interesse anche per una sola visita. Inoltre, cresce sempre più il numero dei visitatori che acquistano la “Musei del Cibo Card”, un biglietto che vale un anno solare e permette di visitare, quando si preferisce, tutti i musei del circuito.
Può descrivere, in breve, quanti e quali musei è possibile visitare, oltre al Museo del Vino, e quali curiosità è possibile ammirare in ognuno di essi?
Sette musei per conoscere la grande ricchezza alimentare della “Valle del Cibo”. Il Museo del Parmigiano Reggiano, a Soragna, racconta la storia delle grandi bonifiche della pianura e la nascita del “Re dei Formaggi”, ma anche la storia della grattugia e la più antica “Denominazione d’origine” del mondo: 1612. Il Museo della Pasta a Collecchio conserva il più antico spaghetto industriale conosciuto (1837) e un intero, straordinario, pastificio della metà dell’Ottocento, un mulino, le trafile dei cento formati di pasta più diffusi, l’evoluzione dello scolapasta.
Il Museo del Pomodoro, pure a Collecchio, oltre a una intera linea di produzione della conserva, espone una collezione di 105 latte storiche con tutti i marchi italiani attivi nel 1938 e una Topolino pubblicitaria sormontata da un tubetto gigante. E custodisce una collezione, unica in Italia, di 360 diversi modelli di apriscatole, dal primo del 1855 ai nostri giorni. Il Museo del Salame, allestito nelle suggestive cantine del Castello di Felino, ci mostra una cucina rinascimentale e ci fa rivivere, attraverso numerosi attrezzi, l’attività umile ma preziosa dei norcini (con un esemplare del tabarro e della bicicletta del norcino) che hanno tramandato per millenni l’arte della salumeria.
Il Museo del Prosciutto, a Langhirano, ci parla di razze suine, del prezioso sale di Salsomaggiore e dei vari sali d’Italia, del mondo, della norcineria e ci mostra una antica salumeria di inizi Novecento e le tecniche di produzione dei prosciutti. Il Museo del Culatello a Polesine racconta il grande fiume Po e il suo territorio, le querce e i maiali neri, la figura di Sant’Antonio Abate, strettamente legata alla figura del maiale, e la Famiglia Spigaroli, norcini di Giuseppe Verdi e oggi ristoratori d’eccellenza. La “Galleria dei Culatelli” da attraversare in silenzio, gustando gli aromi e i profumi della stagionatura, rende l’esperienza unica e indimenticabile. Umbratile e misterioso il fungo Porcino, noto già agli uomini delle Terramare, amato dagli imperatori romani e ingrediente prelibato della cucina rinascimentale, racconta le leggende del bosco e la tradizione di una comunità, dedita da secoli alla sua raccolta, conservazione e commercializzazione.
Che ruolo ricoprono musei come quelli del cibo nella divulgazione della cultura enogastronomica (e non solo), soprattutto tra i giovani?
Ciò che entra dalla nostra bocca diventa parte di noi. È fondamentale che la qualità e la corretta alimentazione traccino le linee guida del nostro mangiare. Perché chi mangia bene, pensa anche bene. Tutti i Musei del Cibo hanno una ampia offerta didattica, rivolta principalmente alle scuole, ma anche alle famiglie, con laboratori e attività ludiche incentrate sull’educazione alimentare e sulla comprensione dei fenomeni scientifici che presiedono alla nascita dei prodotti (come fa il latte a diventare formaggio? Perché il sale conserva la carne?) Una proficua collaborazione con le scuole di prossimità (che hanno sede negli stessi comuni dei Musei) porta ogni anno migliaia di ragazzi a conoscere la storia e la cultura del nostro territorio. Diversi progetti europei hanno poi coinvolto i Musei del Cibo e le scuole professionali (Agraria, Alberghiero, Turistico) proponendo attività di approfondimento per i vari indirizzi. I Musei sono luoghi di formazione permanente e per questo sono presidi preziosi per la cultura della comunità.
Quali gli obiettivi da raggiungere nel prossimo futuro e/o progetti che hanno per protagonista i musei del cibo di Parma?
Il 2022, prevede l’apertura al pubblico del Museo del Fungo Porcino di Borgotaro – unico fungo IGP d’Europa – con un ampio spaccato sulla cultura del bosco e già è partito l’iter per la realizzazione del Museo dedicato al Tartufo Nero di Fragno IGP, con sede a Calestano. I Musei, poi, si sono dotati di una mascotte – un simpatico leprotto esploratore – che contrassegnerà molte delle attività pensate per i bambini e i ragazzi. Il 2022, vedrà anche il debutto del nuovo biglietto famiglia: un ingresso unico per tutti i membri della famiglia, per agevolare la partecipazione “insieme” di grandi e piccoli, la vera chiave di volta per costruire esperienze e competenze solide e durature. Ma per parlare del futuro dei Musei del Cibo ci vorrebbe un’altra intervista, tante sono le novità che bollono in pentola: un ricettario speciale, pubblicazioni on demand on line, visite con degustazioni. Per fare in modo che i Musei del Cibo siano davvero e sempre più un’esperienza unica per tutti i sensi e per tutti i gusti.