Credits: Francesco Bordini Enologo
Se nella seconda metà dell’Ottocento la viticoltura europea ha dovuto affrontare il problema della fillossera, oggi, e nei prossimi anni, dovrà confrontarsi con un nuovo ostacolo: il cambiamento climatico.
Un problema, che necessita di politiche comuni a livello globale.
Per comprendere come, il settore vitivinicolo nazionale stia analizzando e valutando i primi importanti segnali di mutamento climatico, abbiamo chiesto il parere all’enologo Francesco Bordini, che ci illustra la sua esperienza.
Il cambiamento climatico ha alterato in modo significativo importanti aree del nostro pianeta. Tali cambiamenti, secondo la sua esperienza professionale, si stanno già verificando anche in Italia?
Purtroppo sì. Elenco, di seguito, quanto, purtroppo, sotto gli occhi di tutti e che hanno una influenza sul ciclo ella vite:
-inverni sempre più miti con nevicate sempre più scarse;
-crescita dell’incidenza dei danni da brina (conseguenti all’anticipo della ripresa vegetativa);
-sostituzione degli anticicloni delle Azzorre con gli anticicloni africani (più caldi, minore escursione termica, maggiore umidità e luce meno nitida);
-piogge torrenziali, alternate a lunghi periodi di siccità.
Vi sono interventi, anche in via preventiva, che è conveniente adottare per iniziare a compensare tali mutamenti del clima?
Mai come ora sono essenziali le pratiche di buona viticoltura quale unico rimedio agli stress della vite.
Ne elenco alcuni a mio parere essenziali:
-la cura della sostanza organica nel suolo;
-le lavorazioni del terreno;
-l’agricoltura biologica e biodinamica quale fonte di benessere per la pianta di vite;
-la cura maniacale della chioma;
-l’avvicinamento al bosco;
-in sede progettuale le scelte di clone , portainnesto e sesto.
In alcuni paesi del Nord Europa (Danimarca e Svezia), seppur in minime quantità, hanno iniziato a produrre vino. Studi ipotizzano che tra 50 anni il clima di questi Paesi sarà a livello della Francia del Nord. Cosa pensa di tali studi e, a suo parere, potranno diventare le nuove frontiere del vino in Europa?
La vite, sino all’anno 1000 ed all’ultima piccola glaciazione, arrivava in Inghilterra: la storia si ripete.
Certamente, questi nuovi territori avranno un ruolo importante, soprattutto per le produzione di qualità e per i vitigni più precoci.
In quanto alla realtà italiana, è a conoscenza della programmazione o della realizzazione di nuovi impianti ad altezze sul livello del mare sino a “ieri” impensabili? Come ipotizza questo cambiamento e quali saranno le difficoltà di questo “riadattamento” enologico?
In Appennino la vite arrivava a 800m slm, gran parte dell’abbandono della montagna è avvenuto per motivi economici e per la brama produttiva.
Resta sempre valida la regola che tanto più l’ambiente diventa estremo tanto più contano i dettagli, quali l’esposizione e le correnti di aria.
A oggi, uno dei principali problemi che contrastano l’innalzamento delle quote di coltivazione è il crescente rischio di brinate primaverili (poiché più probabili in questi ambienti sono i ritorni di freddo).