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Credits: Vincenzo Mercurio Enologo
Se nella seconda metà dell’Ottocento la viticoltura europea ha dovuto affrontare il problema della fillossera, oggi, e nei prossimi anni, dovrà confrontarsi con un nuovo ostacolo: il cambiamento climatico.
Un problema, che necessita di politiche comuni a livello globale.
Per comprendere come, il settore vitivinicolo nazionale stia analizzando e valutando i primi importanti segnali di mutamento climatico, abbiamo chiesto il parere all’enologo Vincenzo Mercurio, che ci illustra la sua esperienza.
Il cambiamento climatico ha alterato in modo significativo importanti aree del nostro pianeta. Tali cambiamenti, secondo la sua esperienza professionale, si stanno già verificando anche in Italia?
Il cambiamento climatico è un fenomeno naturale, presente sulla terra dal momento della sua genesi, un fenomeno le cui tracce passate sono evidenti dal punto di vista scientifico. Per comprendere meglio di cosa si tratti realmente occorre, semplicemente, esaminarlo con la scala del tempo geologico e non con la nostra concezione umana del tempo.
Il deserto del Sahara tre milioni di anni fa era una verde e lussureggiante foresta tropicale, e potrebbe ritornare ad esserlo.
I segnali del cambiamento climatico sono evidenti, anche in Italia, seppure in maniera meno drammatica che in Europa continentale, questo grazie alla nostra posizione geografica.
Questo anno, ad esempio, sul territorio Nazionale molti sono stati i fenomeni climatici che hanno contribuito a una riduzione delle rese: il forte caldo, le gelate, diverse grandinate (in aumento) e la siccità.
Fino ad arrivare a fenomeni climatici drammatici ed intensi di pioggia, molto simili a quelli che si verificano nelle zone tropicali, vedi Catania e tutta la Sicilia orientale, tra fine ottobre e, inizio novembre 2021.
Dai dati in nostro possesso vi è un innalzamento della temperatura media, evidente, il cambiamento climatico è in atto, non vi è alcun dubbio.
Soprattutto, stanno aumentando i fenomeni estremi, relativamente alla piovosità ed alla siccità, una tendenza che viene descritta come tropicalizzazione.
Vi sono interventi, anche in via preventiva, che è conveniente adottare per iniziare a compensare tali mutamenti del clima?
L’effetto serra sta modificando le condizioni di produzione, e di conseguenza le caratteristiche organolettiche dei vini. Più che di singoli interventi, credo sia il caso di pensare a una strategia atta a ridurre ciò che causa il problema a monte e mettere in atto azioni per mitigare il loro effetto sulla qualità dei nostri vini.
Dobbiamo intervenire necessariamente su due scale, una macro e, quindi, tutto ciò che possiamo fare per ridurre il nostro impatto sul clima in viticoltura, in enologica, nella commercializzazione e nella nostra vita privata, poi su scala micro. Quindi, intervenire attraverso la tecnologia e la conoscenza agronomica per ridurre l’effetto del cambiamento sul micro ambiente che influenza la qualità dei nostri vini.
Possiamo e dobbiamo fare il possibile per contenere il carbonio nel sottosuolo, il suo luogo naturale di stoccaggio, aumentare la sostanza organica, favorire lavorazioni ragionate del suolo, effettuare solo diserbo meccanico e non chimico, aumentare la biodiversità nelle nostre aziende, calibrare la gestione della chioma in modo puntuale, scegliere portinnesti che meglio si adattano alla diminuzione di disponibilità idrica, creare un sistema capillare di monitoraggio delle vigne per poter conoscere i dati e e condizioni del microclima.
In alcuni paesi del Nord Europa (Danimarca e Svezia), seppur in minime quantità, hanno iniziato a produrre vino. Studi ipotizzano che tra 50 anni il clima di questi Paesi sarà a livello della Francia del Nord. Cosa pensa di tali studi e, a suo parere, potranno diventare le nuove frontiere del vino in Europa?
Ci sono previsioni catastrofiche secondo le quali nel 2100 avremo un’aumento stimato tra i 2 e i 5 gradi celsius. Danimarca e Svezia potrebbero diventare effettivamente zone in cui sarà possibile coltivare la vite su superfici importanti, attualmente sono superfici irrisorie, potremmo definirle sperimentali. Che si riesca a fare dell’ottimo vino, non è da escludere.
In quanto alla realtà italiana, è a conoscenza della programmazione o della realizzazione di nuovi impianti ad altezze sul livello del mare sino a “ieri” impensabili? Come ipotizza questo cambiamento e quali saranno le difficoltà di questo “riadattamento” enologico?
Ritengo che l’Italia sia maggiormente resiliente, pur essendo influenzata dal cambiamento climatico, rispetto ad altre Nazioni. I motivi sono diversi, tra questi:
a) biodiversità elevata, ogni regione ha un numero elevato di vitigni autoctoni che si sono acclimatati da millenni in un determinato luogo in cui ci sono dei microclimi;
b) geografia: grazie alla presenza del mare che circonda tutta l’Italia eccezione per l’arco alpino, beneficiamo di una maggiore stabilità termica. Inoltre, grazie alla presenza costante di una catena montuosa appenninica, abbiamo in prevalenza una viticoltura collinare.
La tendenza attuale è di scegliere terreni dove piantare ad altitudini sempre più elevate, con esposizione più fresche come est, o addirittura Nord/Est, in contrapposizione con le classiche Sud/Ovest e piantare vitigni a maturazione tardiva.
Pensando alla regione in cui vivo, la Campania, porto una testimonianza della nostra resilienza territoriale, ad esempio questa vendemmia l’abbiamo terminata raccogliendo uve straordinarie in alcuni vigneti a Montemarano in provincia di Avellino. Essi hanno un esposizione ad Est, si trovano a 750 mt sul livello del mare e accolgono un vitigno autoctono antico come l’aglianico che matura tardi, basti pensare che quest’anno è stato raccolto l’11 novembre.
Il nostro stato attuale e le nostre risorse non devono assolutamente farci abbassare la guardia, anzi dobbiamo contribuire facendo tutti gli sforzi possibili per ridurre la velocità del cambiamento e riportare in equilibrio il nostro ambiente.
La gestione del problema a valle, nelle nostre vigne e nelle nostre cantine, non deve distrarci dal problema a monte: la nostra impronta sull’ambiente.