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Credits: Gabriele Valota Enologo
L’obiettivo primario di un enologo è di riuscire a donare al titolare dell’azienda vitivinicola e, quindi, anche al consumatore finale, il “vino perfetto”, valorizzando e ottimizzando al meglio il frutto degli dei: le uve.
Il vino “perfetto” esiste veramente? Qualcuno ha definito il vino perfetto quello che incontra i favori dei produttori, altri quello dei consumatori. C’è chi, inoltre, sostiene che il vino perfetto è quello privo di difetti, eppure sappiamo che, talvolta, una piccola imperfezione può trasformarsi in un valore aggiunto, un esempio su tutti i vini “brettati”, amati e odiati, allo stesso tempo.
Aggiungendo un nuovo capitolo alla rubrica che dà voce agli enologi, ci rivolgiamo alla fonte più autorevole per comprendere se il vino perfetto esiste e in che misura.
Chi, meglio di un enologo può conoscere la fatica e le molteplici variabili che riguardano la produzione del vino dalla vigna all’imbottigliamento. Eppure, spesso, i giudizi più spietati sul vino arrivano da chi degusta solo il prodotto finale senza conoscere l’evoluzione dell’intero percorso produttivo. Per questo, solo un enologo può, oggettivamente, sapere se esiste il vino perfetto. Quando un vino può definirsi tale, secondo la sua esperienza.
Personalmente, penso che non esistano vini perfetti. La perfezione è definita come: “stato di ciò che è senza difetti e che non può essere migliorato”.
L’enologo, in quanto professionista accreditato del settore, può solo definire e ricercare delle caratteristiche che, secondo suo modesto parere, possono essere ideali per un determinato vitigno, terroir, target di consumatori, mercato, etc.
A mio avviso, un vino per tendere alla perfezione non deve essere solo analiticamente corretto e senza difetti (parametro oggettivo) ma deve anche saper emozionare (parametro soggettivo) il maggior numero di consumatori.
C’è un difetto che teme particolarmente?
No, tutti i difetti vanno temuti. Se i vini vengono trascurati, anche il più correggibile dei difetti può trasformarsi in qualcosa di difficile da recuperare e/o mascherare.
Quali sono le operazioni, o le strategie, che mette in atto per evitare che tale problema possa presentarsi? O, nelle peggiori delle ipotesi, come “addomestica” tale inconveniente?
Nella stragrande maggioranza dei casi, un corretto protocollo di pulizia e sanificazione previene la maggior parte dei difetti causati da contaminazioni di natura chimica e microbiologica. In aggiunta a quelle che definisco “le buone pratiche di cantina”, ritengo siano anche fondamentali la sensibilità e la meticolosità nel controllo delle uve e nel monitoraggio di ogni fase del processo di vinificazione, soprattutto nelle fasi più critiche.
Nella peggiore delle ipotesi gli inconvenienti possono essere eliminati o mascherati con coadiuvanti enologici o attraverso l’arte del “blending”.
Un suo pensiero sui vini “brettati”: difettati a prescindere oppure un’esperienza interessante da valutare?
Il 4-etil-fenolo e il 4-etil-guaiacolo, prodotti dal metabolismo del lievito Brettanomyces, sono uno dei difetti che in assoluto tollero meno perché facilmente prevenibili con una corretta e scrupolosa sanificazione dei vasi vinari e con il frequente monitoraggio dell’affinamento dei vini.
Il “brett”, come tanti altri difetti, porta solo all’omologazione e alla standardizzazione del profilo sensoriale di un vino. Non comprendo come molti consumatori possano trovarlo interessante. Mangereste volentieri in un piatto lavato male? Berreste volentieri da un bicchiere sporco? Personalmente, no. Lo stesso discorso vale per un vino prodotto in una botte sporca.