Il Marsala, uno degli emblemi della Sicilia enoica, deve la sua fama e fortuna agli inglesi (i siciliani ne scoprono le potenzialità solo tempo dopo rispetto agli anglosassoni), in particolare al suo inventore John Woodhouse.
Il commerciante inglese arriva in Sicilia intorno al 1770 e, come molti viaggiatori del tempo, rimane incantato dall’Isola, dal suo clima mite e dal fascino di Marsala, città nella quale sbarca con la sua nave. Lì, ha modo di degustare un vino locale che gli ricorda i vini liquorosi portoghesi. L’idea di farlo conoscere ai suoi connazionali e di ricavarne guadagni importanti spinge Woodhouse a ideare una tecnica produttiva per imporre il prodotto sul mercato internazionale. Quella che, per il tempo, può definirsi come una delle vere prime campagne pubblicitarie sul vino vede personaggi del calibro dell’ammiraglio Nelson e Giuseppe Garibaldi promuovere il vino liquoroso Sicilia, ancora oggi simbolo dell’Isola di Trinacria.
Nel Regno Unito, il Marsala, ottiene un tale successo da fare la fortuna di Woodhouse e degli altri imprenditori inglesi che ne seguono presto le orme (come Ingham e il nipote John Whitaker).
La popolarità nazionale e Internazionale del Marsala arriva, però, solo con l’avvento della famiglia Florio e del suo capostipite Vincenzo Florio il quale, a metà Ottocento fonda le Cantine Florio.
Una storia, quella del Marsala, che si intreccia con gli eventi politici e sociali del tempo della Sicilia e non, raccontata da Angelo Costacurta e Sergio Tazzer nel volume “Marsala. Il vino di Garibaldi che piaceva agli inglesi”, Edizioni Kellermann. Il libro apre la collana “Grado Babo” interamente dedicata a storie di vino particolari, speciali proprio come quella del Marsala. Una narrazione che all’approccio storico accomuna anche tutti i dettagli tecnici necessari e una bibliografia interessante.
Il volume si apre con una breve storia della vita in Sicilia, terra ricca di ogni bene, per poi raccontare del Marsala e della sua storia in un viaggio entusiasmante che fa di Marsala e la Sicilia centro di una eccellenza invidiata dal mondo:
“Nel 1889 la produzione del Marsala vedeva in testa Ingham-Whitaker con 17 mila ettolitri, seguita da Woodhouse con 15,500; Florio con circa 14.500; a seguire gli altri. L’esportazione interessava il 60%”.
Una scrittura puntuale, ricca di preziosi riferimenti storici, utili non solo ai professionisti e appassionati del tema ma a quanti vogliano arricchire il proprio sapere attraverso un volume che può definirsi multidisciplinare.
La figura di Garibaldi colora le pagine del volume che ne descrive le gesta fino a raccontare anche l’uomo e la sua passione per il vino:
“A Marsala nel luglio del 1862, il condottiero venne portato come un taumaturgo. In visita al Baglio Florio si narra che abbia assaggiato una versione rotonda ed amabile del Marsala , immediatamente battezzata Garibaldi dolce”.
La storia dei vitigni, la produzione, l’invecchiamento, le varie tipologia di Marsala sono raccontati senza lasciare nulla all’approssimazione e, al tempo, stesso con la giusta godibilità richiesta anche a una lettura di contenuto come questa.
In un libro che celebra un vino iconico per la Sicilia ma anche per l’Italia unita tutta, la postfazione dedicata alle ricette (dolce e salato) di Pellegrino Artusi con il Marsala conclude il cerchio perfetto, rendendo omaggio al Bel Paese, alle sue eccellenze e ai suoi talenti.