Il vino, come le sigarette, nuoce gravemente alla salute. Il vino, come il gioco d’azzardo, crea dipendenza. Il vino sarebbe tra le cause di morti premature, molte delle quali causate da cancro. I dati pubblicati dall’autorevole rivista scientifica “Lancet” lasciano poco spazio alle interpretazioni. “Le conclusioni dello studio sono chiare e inequivocabili: l’alcol è un colossale problema di salute globale e le piccole riduzioni dei danni per la salute a bassi livelli di assunzione di alcol sono controbilanciate dall’aumento del rischio di altri danni per la salute, incluso il cancro. C’è un forte sostegno qui per la linea guida pubblicata dal Chief Medical Officer del Regno Unito che ha scoperto che non esiste un livello sicuro di consumo di alcol.”
Se fino a ricerche precedenti le indicazioni erano riferite a un consumo eccessivo e non moderato, questo studio sottolinea che non esiste una soglia effettiva tra eccesso e moderazione: “non esiste un livello sicuro di consumo di alcol”. Tale ricerca ha offerto lo spunto ad alcuni virologi-epidemiologi, in “crisi di astinenza”, dopo la sovraesposizione mediatica ai tempi della pandemia da Covid, di rincarare la dose, sugli effetti nocivi provocati dal consumo di vino. Per i medici, chiamati in causa, il vino va evitato e basta, fosse anche mezzo bicchiere una tantum.
In Irlanda, entro pochi mesi, vista l’epidemia da abuso di alcol che interessa il Paese, le bottiglie di vino e di superalcolici dovranno riportare l’etichetta indicante gli effetti nocivi. L’Irlanda ha ottenuto il via libera dall’Unione Europea, Unione Europea che, a sua volta, ha confermato l’intenzione di ridurre il consumo del 10%, entro il 2025, di alcuni prodotti, come il vino, considerati a rischio cancro.
Il Piano dell’Unione Europea non fa altro che aderire alle richieste dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. I numeri di chi abusa dell’alcol lontano dai pasti sono in costante crescita, anche in Paesi con una consolidata cultura vitivinicola.
Il problema esiste e va affrontato dagli operatori di settore, non evitato, ritenendo che la questione riguardi solo l’Irlanda, poco influente in termini di vendite globali, rispetto al resto del Continente o del Mondo.
Certo, è lecito domandarsi, che valore e credibilità abbiano i numerosi studi sui benefici del vino pubblicati negli ultimi anni, anche sulle riviste che oggi condannano una bevanda con millenni di storia e che ha scritto la cultura di molti popoli.
Probabilmente, è altrettanto utile interrogarsi con quanta costanza e quale modalità, negli anni, i maggiori Paesi produttori al mondo di vino abbiano investito per divulgare la cultura del vino, ponendo, quindi, attenzione sulla conoscenza come freno per evitare il proliferare del vizio e, quindi, dell’abuso di vino.
Nella frenesia di stilare numeri di vendita a fine anno, il rischio è che lo spazio da dedicare alla storia e alla tradizione di territori, che disegnano da secoli le geografie di molti paesi al mondo, sia risicato, considerato meno rilevante quando, al contrario, è uno degli strumenti di comunicazione più impattante per costruire i mattoni di una comunicazione sostenibile sul tema.
Pare che non siano così lontani i tempi in cui le etichette sanitarie, come quella che presto sarà apposta sulle bottiglie di vino destinate al mercato Irlandese, avranno spazio anche in altri paesi Europei (e non solo). Se e quando ciò dovesse accadere il comparto vitivinicolo e la comunicazione che gli gira intorno saranno pronti per una nuova narrazione? Nel qual caso si tratterebbe, davvero, di riscrivere la storia della comunicazione del vino.
La salute che passa attraverso gli alimenti e le bevande è un tema centrale da decenni in ogni paese sviluppato.
Quando studi, come quelli recenti, effettuati sulle bevande alcoliche hanno risonanza mondiale i consumatori occasionali (e non) si pongono delle domande. Come anche chi si occupa di comunicazione. Sarà certamente utile chiedersi, ad esempio, se e in che termini, varrà la pena divulgare un prodotto, un tempo considerato (sempre in dosi moderate) benefico (anche per la presenza del tanto declamato resveratrolo) e adesso peggiore nemico della salute.
Il mio approccio scientifico mi induce a rivendicare l’importanza di comunicare un prodotto particolare come il vino, prevalentemente attraverso la conoscenza di luoghi (strade del vino, Denominazione di Origine, Associazioni…) e di chi, in quei territori, lavora ogni giorno per produrre non un veleno ma un bene che, tra l’altro, dà lavoro a professionalità di diverso genere, nelle varie nazioni produttrici.
Solo attraverso la consapevolezza di condividere la conoscenza di un prodotto dalla nobile storia ma da consumare con attenzione è possibile radicare nella mente delle giovani generazioni il piacere di degustare e non di bere; il piacere di scoprire territori e profumi in cui il vino è solo un punto di partenza e non di arrivo.
I mutamenti climatici e l’esigenza di combattere le varie patologie dell’era contemporanea, anche e soprattutto attraverso uno stile di vita ed alimentare idonei, sono temi attuali da tanto e sui quali non è più possibile procrastinare. Nemmeno per il mondo del vino che, forse, ha il limite di essersi sempre preso troppo sul serio. È solo vino, non un alimento indispensabile ma, proprio per questo, va protetto.
Biologico e comunicazione sostenibile sono due punti sui quali si sarebbe dovuto investire ieri. Domani è qui e il caso Irlanda potrebbe essere solo l’inizio di una parabola discendente se ogni attore del palcoscenico vitivinicolo non prende consapevolezza del periodo di trasformazione in atto.
Del resto, se si è arrivati a un consumo tanto eccessivo di alcol, soprattutto tra i giovani, non è solo “perché la società è cambiata”. Certo, la società è mutata, privilegiando il consumo alla conoscenza (su vari campi, se non tutti) ma, ed è questo il nocciolo della questione, in pochi hanno voluto cogliere segnali già evidenti da tempo.